martedì 27 ottobre 2015
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Perché il Pil non funziona. Una donna bellissima e davvero attraente che distrae, però, i suoi ammiratori e li fa guardare nella direzione sbagliata. Così appare il Pil nell’ultimo rapporto prodotto dal Nef, New Economics Foundation, centro studi di Londra specializzato in felicità e sostenibilità. Poche ore prima che l’Ufficio nazionale di statistica inglese pubblicasse l’ultima stima preliminare del Prodotto interno lordo il Nef ha dimostrato tutti i limiti di questa cifra in un rapporto col quale lancia 5 indicatori alternativi da sostituire al Pil. Per i cittadini contano altre cose. Secondo il Nef l’idea di un’economia britannica fuori dalla crisi, con aumento di occupazione e stipendi, racconterebbe soltanto una parte di quello che sta succedendo davvero nel paese. Il Pil "bellissima sirena" con le sue cifre in crescita - + 0,4% e +0,7% le ultime - concentrerebbe l’attenzione dei politici sulla produzione di ricchezza. Un dato che i cittadini non giudicano sufficiente a garantire la felicità. Secondo diversi sondaggi, per la maggior parte del pubblico è importante che il lavoro ci sia ma altrettanto importante è che sia ben pagato e sicuro, che la società nella quale viviamo sia giusta e accogliente e che vengano curati salute e ambiente. Il Bes ha troppi indicatori. L’importanza di questi settori viene dimostrata, in Italia, dalla crescente popolarità del Bes, l’indice del benessere equo e sostenibile. Secondo Karen Jeffrey, una delle autrici del rapporto del Nef, il limite del benessere equo e sostenibile sono i suoi troppi indicatori. “Per i giornalisti, e anche per la gente comune”, spiega Karen, “diventa troppo complicato esaminare centinaia di dati invece di uno soltanto. Per questo motivo il Pil, un’unica cifra, è così popolare. Perché semplifica le cose. Nel nostro rapporto siamo riusciti a ridurre le misure del benessere a 5 indicatori con i quali vogliamo raggiungere il grande pubblico”. Ne bastano soltanto cinque. Guardiamo in questi 5 posti, indicati dal rapporto Nef, nel settore buoni lavori, giustizia sociale, ambiente, benessere, salute per vedere se l’economia britannica va davvero bene. Ecco il tasso di disoccupazione in costante calo che è l’invidia degli altri Paesi europei. Il rapporto Nef propone al suo posto il “Good Job indicator” ovvero il “Misuratore di lavori buoni” che ci dice quanti, di coloro che sono occupati, hanno un lavoro sicuro che garantisce loro lo stipendio sufficiente per uno stile di vita accettabile. Benchè il tasso di occupazione sia salito, tra il 2011 e il 2014, la proporzione di persone con un buon lavoro è diminuito e, per coloro al fondo del mercato del lavoro, la lotta per uno stipendio decente e sicuro è diventata più dura con un terzo della forza lavoro disoccupata o con un lavoro insicuro e pagato male. Il Regno Unito inquina troppo. Passiamo poi all’ambiente dove l’indicatore scelto dal Nef misura le emissioni di anidride carbonica legate ai consumi del Regno Unito, in rapporto a un limite fissato per evitare un cambiamento nel clima pericoloso per il pianeta, e segnala che la Gran Bretagna si trova vicinissima alla soglia massima di sicurezza su una traiettoria che mette a rischio gli interessi di lungo termine del paese. Cresce il divario ricchi-poveri. Né va meglio per quanto riguarda il divario tra ricchi e poveri dove il Regno Unito risulta il sesto Paese al mondo (l’Italia è all’undicesimo posto) per ingiustizia sociale e dove il 10% dei più ricchi del paese ha l’ 8,7 volte di reddito in più rispetto al 10% dei più poveri. Vanno bene salute e benessere. Rimangono gli ultimi 2 indicatori, salute e benessere, dove la Gran Bretagna supera l’esame del Nef e dimostra un miglioramento negli ultimi quattro anni. In media il benessere, ovvero la convinzione di vivere una vita felice, è aumentato dello 0,9% per anno mentre la salute è cresciuta dell’1,8%. “Chiediamo all’Ufficio Nazionale di statistica di adottare i nostri cinque indicatori come parte del programma per misurare il benessere della nazione”, conclude Karen Jeffrey, “perche il Pil non ci dice tutto quello che dovremmo sapere per giudicare il successo della nostra economia”.
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