venerdì 4 novembre 2016
Secondo Eurofund l'Italia paga un prezzo pari al 2% del Pil per i 2,2 milioni di ragazzi e ragazze fuori dai percorsi di studio e di lavoro. Se ne parla al Neeting di Milano.
Il manifesto del convegno Neeting

Il manifesto del convegno Neeting

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I Neet costano all'Italia il 2% del Pil, in valore assoluto circa 36 miliardi di euro, secondo le stime dell’Eurofound. Un esercito di circa 2 milioni e 200mila giovani tra i 15 e i 29 anni che non partecipano a percorsi di istruzione o formazione e nemmeno stanno svolgendo un’attività lavorativa, questo il significato dell’acronimo Neet (Notineducation, employment or training). Erano già un gruppo sostenuto prima della crisi, quando si attestavano attorno al 19%, con una media europea del 13%. Poi sono cresciuti: 25,7% nel 2015 (14,8% in Europa) e 22,3% nella prima metà del 2016. Nonostante le misure avviate in tutta l’Unione per arginare il problema, come l’iniziativa "Garanzia giovani", persistono grosse difficoltà.

Il convegno Neeting

A fare un punto sull’incidenza crescente che in Italia hanno i Neet è «Neeting. Convegno nazionale sui Neet». Una due giorni (il 3 e il 4 novembre) organizzata da Università Cattolica, Istituto Toniolo di Milano e Fondazione Cariplo per analizzare questo complesso fenomeno. I Neet in Europa sono «il 14,8% dei giovani tra i 15 e 29 anni, 13 milioni di talenti che non vengono integrati», puntualizza Massimiliano Mascherini di Eurofound. Un dato che varia molto: sono oltre il 25% in Italia e il 7% in Germania. Un trend «che la crisi ha acuito ma che è vincolato a problemi strutturali del nostro Paese », prosegue Mascherini. Legato ad aspetti culturali: «L’ingresso nel mondo del lavoro è ritardato: qui prima si termina di studiare». Un mondo che è «rigido e diviso tra outsider e insider e dove i contratti erano a tempo determinato, poi con la crisi si sono ridotti anche questi». La conseguenza è che l’indipendenza economica si conquista dopo. A cascata è traslata la transizione verso l’età adulta: gli italiani lasciano casa dei genitori e fanno figli più tardi rispetto ai coetanei europei.


Chi sono i Neet italiani

Ma chi sono i Neet? Non un gruppo monolitico, ma fortemente eterogeneo. Ne fanno parte disoccupati di breve e di lungo termine, molte giovani madri che devono curare i propri bambini, i disabili, i lavoratori scoraggiati, i neolaureati, chi non ha un impiego per scelta o chi è uscito in anticipo dagli studi. Secondo Eurofound inltalia svettano i casi di scoraggiati e disoccupati di lunga durata, prevalenti rispetto ad altri Stati europei. Ma siamo anche il Paese con giovani più interessati a trovare un lavoro: Eurostat parla di 20,3% nel 2015 a fronte di una media Ue del 10,3%. Nello specifico, i dati dell’indagine dello scorso ottobre "Rapporto giovani" mostrano che meno del 20% dei Neet non sta cercando lavoro. Insomma, quello che emerge è che non sono fannulloni e schizzinosi. «Dobbiamo decidere se le nuove generazioni sono le principali vittime di un Paese rassegnato al declino o le risorse principali per tornare a crescere» conclude Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica. Il tasso dei Neet può infatti essere considerato una misura di quanto uno Stato dilapida il potenziale delle nuove generazioni.

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