martedì 20 agosto 2019
Il settore è in ritardo nella migrazione verso combustibili puliti, però tra gas, ibride ed elettriche si contano già quasi 700 natanti
Navi, i motori provano l'elettrico
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Secondo recenti studi il settore navale è responsabile del 2,2% dei gas serra mondiali, percentuale destinata a crescere in maniera esponenziale nei prossimi anni senza misure di contrasto.

Ritardo nel trasporto marittimo

Il traffico navale è quello, seppur forse in modo minore di quello aereo, che registra i ritardi più marcati nella migrazione verso combustibili puliti, con pesanti impatti sulle città portuali, soprattutto nel Mediterraneo. L’accordo mondiale, siglato ad aprile del 2018 all’Organizzazione marittima internazionale (IMO), offre un primo impegno in tal senso chiedendo al comparto di tagliare la CO2 di almeno il 50% entro il 2050, rispetto ai livelli del 2008. E l’industria navale dovrà impegnarsi parecchio per raggiungere tali obiettivi anche se una parte di essa, il mondo crocieristico, ha già avviato la produzione di grandi navi da crociera alimentate a metano, come abbiamo ancora di recente raccontato da queste pagine parlando delle future navi Costa.

In Danimarca il più grande traghetto elettrico

Ma il mondo dello shipping guarda anche all’elettrico: a ferragosto in Danimarca è entrato in servizio il più grande traghetto elettrico al mondo, la "Ellen" che può trasportare 30 veicoli e 200 passeggeri. Ma i casi sarebbero molti da elencare a tal punto che secondo i dati della società di certificazione Dnv-Gl le navi elettriche e ibride – operative e in costruzione – ammontano a 356. A queste vanno aggiunte 318 unità a gas. Un primo passo significativo in un settore che "brucia" 370 milioni di tonnellate l’anno di carburante. L’obiettivo vero resta l’elettrico che però trova inevitabili complicazioni visto la difficoltà a realizzare accumulatori capaci, non ingombranti e leggeri. Senza trascurare che per queste batterie servono metalli e se rame ed alluminio si trovano in grande quantità tutt’altro discorso riguarda cobalto e litio spesso presenti in Paesi poveri, travagliati da guerre e da pesante sfruttamento dei lavoratori. Considerando che il traffico mondiale di container nell’anno corrente – in base ad uno studio di Fedespedi – dovrebbe collocarsi intorno ai 175 milioni di teu con una crescita di circa l’1,7% sul 2018 ed un costante incremento medio annuo dal 2011 del 2,7% e che in base alle statistiche, le navi tra i 7.500 ed i 9,999 teu rappresentano il 19% della flotta mondiale di portacointainer, mentre quelle sopra i 10mila teu ne rappresentano il 33% e che la tendenza al cosiddetto "gigantismo" non sembra fermarsi, considerando ancora che il 79% delle navi in consegna quest’anno ha una capacità superiore ai 10mila teu, questo si traduce che urge intervenire sulla propulsione cercando alternative agli oli pesanti. Così, ad esempio, a marzo a Rotterdam in Olanda è stato dato il via ad un’iniziativa ecologica di altro tipo con la prima portacontainer alimentata da biocarburante prodotto dai rifiuti. Progetto frutto dell’alleanza tra l’autorità portuale, Ikea Transport & Logistics Services e Cma Cgm e il programma non profit GoodShipping. Un test sulla via della decarbonizzazione nel trasporto marittimo, con un biodiesel sviluppato da GoodFuels a partire da olio di cottura esausto e scarti forestali che secondo la società produttrice il carburante dovrebbe garantire una riduzione di CO2 dell’80-90% rispetto agli equivalenti fossili ed eliminare completamente le emissioni di ossido di zolfo (SOx), senza modifiche ai motori.

Maersk, nel 2050 emissioni zero

Sulla strada dei biocarburanti va registrata un’ulteriore iniziativa, quella di AP Moller-Maersk, il primo gruppo armatoriale al mondo, che guarda sì all’elettrico (non per nulla il mese scorso ha acquisito Kk Group, società specializzata nella costruzione di generatori da fonti alternative, in particolare eolico, con 1.400 dipendenti) ma, in precedenza, a dicembre aveva presentato la sua strategia "verde", con un obiettivo più ambizioso di quello del trasporto marittimo – che rappresenta oltre l’80% del commercio mondiale – ossia la riduzione a zero delle emissioni di gas serra del gruppo entro il 2050. I vertici del gruppo danese peraltro sostengono di aver già ridotto le loro emissioni di oltre il 40% rispetto ai livelli del 2008 e prevedono di raggiungere il 60% nel 2030. Anche attraverso la sperimentazione di un nuovo carburante: il 20% di biocarburante (a base di olio di colza usato) miscelato con l’olio combustibile pesante tradizionale. Ci sono clienti interessati, compresa H&M, nonostante l’aumento dei costi del trasporto perché il biocarburante è più caro del 50%. Maersk dal 2015 ha speso circa 1 miliardo di dollari in ricerca e sviluppo per eliminare i combustibili fossili.

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