domenica 17 dicembre 2017
Tra gli addetti dell’Oriocenter, dove debutta il 25 lavorativo
Natale dietro la cassa del fast food
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«Preparerò il pranzo di Natale dividendolo in vaschette, pronte da inserire in forno per essere riscaldate. Ci penserà mio marito, visto che io dovrò mangiare in fretta e poi correre al lavoro». Monica, madre lavoratrice di 40 anni, vivrà un Natale spezzato. Scarterà in anticipo i regali («perché almeno quella gioia non me la posso negare ») e poi, nel bel mezzo della festa, saluterà il figlio di sei anni («Non so con che faccia gli dirò: mamma va al lavoro anche oggi») e tutta la parentela, salirà in macchina e raggiungerà Oriocenter. Alle 17 inizierà il suo turno nella 'Food Court', la mecca del cibo sorta accanto al cinema, all’interno della nuova ala del centro commerciale, che a maggio ha raddoppiato la sua superficie. Oriocenter era già un gigante prima, ora è un leviatano che troneggia accanto all’A4, di fronte all’aeroporto preferito da Ryanair.

Una cattedrale del consumo che offre riti sempre più frequenti, sovrapponendo i tempi del profano a quelli del sacro. L’ultimo tabù cadrà in questa fine 2017: per la prima volta la grande galleria resterà aperta anche durante le festività. Solo la nuova area ristoro e per metà giornata il 25 e a Capodanno, interamente e con orario pieno il 26. «Non era mai accaduto prima – sottolinea Alberto Citerio, segretario della Fisascat Cisl – Senza contare che nel 2017 Oriocenter è già rimasto aperto a Pasquetta e a Ferragosto. Una rincorsa che continuerà, se non facciamo qualcosa.

Ci aspettiamo che l’anno prossimo tutti i negozi del centro restino aperti il gior- no di Natale. Perciò bisogna fermarsi prima. Dicono che la nostra è una battaglia di retroguardia e che il mondo va avanti. Ma questo non è un avanzamento, semmai un deragliamento». I lavoratori sono sul piede di guerra: più di mille le firme raccolte contro le aperture natalizie, su un totale di circa 3 mila dipendenti. La direzione di Oriocenter però ha tirato dritto, sottolineando di agire «nell’ambito della normativa ». Vero. E infatti il vizio di fondo sta nella deregulation decisa da Monti, quella «che non ha portato alcun vantaggio al settore del commercio» sottolinea Citerio. Serve che «la politica batta un colpo», come ha chiesto anche Confesercenti Bergamo nei giorni scorsi, da tempo schierata al fianco della Cei e dei sindacati contro il lavoro festivo.

«Noi vorremmo che si restasse chiusi per le 11 festività annuali – prosegue Citerio – Ma ne basterebbero anche 6, come proposto dal M5S». Se ne parlerà, forse, nella prossima legislatura. Per ora non resta che lavorare. Rifiutare il turno natalizio sarebbe come farsi autogol. A Oriocenter molti dipendenti, come la signora Monica, hanno infatti un contratto a termine da 1200 euro al mese. «Sono in scadenza il 31 dicembre, quindi non avevo molte alternative – spiega – Ma mi chiedo: la gente ha davvero bisogno di passare la sera di Natale in un fast food? Liberissimi di farlo. Ma sia chiaro che il mio bambino non vale meno di quello di un cliente. Questo lavoro ti chiede troppi sacrifici, per ritmi e orari. Non è quello che vuoi, ma te lo prendi. Però spero di trovare presto un altro posto: continuare così non è sano né per me né per la mia famiglia».

All’interno del centro commerciale il malcontento continua a lievitare con il passare dei giorni. Raggiungendo a sorpresa anche l’altra parte della barricata, a conferma che il tema è delicato e assai trasversale, perché finisce per urtare i valori profondi di tutti, a prescindere da portafoglio e credo politico o religioso. «Posso anche capire la scelta di tenere aperto il 26 – spiega la titolare di un negozio di oggettistica – ma il Natale proprio no, non si tocca. È una questione di principio. Si sta in famiglia, non si dovrebbe lavorare». Lo stesso tasto su cui batte Giulio, 37 anni, impiegato in uno dei tantissimi negozi di abbigliamento. «Il 26 pensavo di restarmene tranquillo con la mia ragazza, che fa l’operaia e quindi non lavora. Invece no, alle 9 del mattino sarò già qui. Arriverò tardi al pranzo con i parenti, una delle poche occasioni che ci sono durante l’anno per vedersi». Lunedì in assemblea si deciderà come proseguire la battaglia, se alzare la bandiera bianca della rassegnazione come ha già fatto qualcuno («Quando si è giovani si mette in conto di lavorare anche durante le Feste» sbuffa una cameriera) o se virare sulla linea dura, cioè far sciopero proprio il 25 e il 26. Una decisione difficile da prendere per il popolo dell’Oriocenter, assai poco «sindacalizzato ».

I dipendenti dei piccoli negozi, ad esempio, sono i più isolati e ricattabili. Non presentarsi sul posto di lavoro potrebbe avere conseguenze spiacevoli. «Alcuni hanno persino ricevuto il 'consiglio' di non firmare la petizione – spiegano dalla Filcams Cgil di Bergamo – ce l’hanno rivelato solo via chat perché di persona non volevano esporsi». La morale è piuttosto amara. «In una società in cui il mondo del lavoro è sempre più frammentato e con salari che stentano a crescere – sostiene Mario Colleoni Mario, segretario della Filcams – è a maggior ragione necessario salvaguardare il valore delle festività e del riposo. Il commercio non può essere considerato un 'servizio' essenziale, per questo nei giorni festivi tutti i lavoratori devono avere la possibilità di vivere serenamente e in famiglia questi già rari momenti. Oggi – continua Colleoni – la voglia sfrenata di profitto prevale su tutto, troppe volte anche sui valori umani, familiari e sociali».

Sull’altare dello shopping tutto è sacrificabile. «Quel che è peggio – aggiunge Giulio – è che il 26 il centro commerciale sarà pieno di gente, poco ma sicuro». Grazie anche al mega villaggio natalizio, con tanto di mini pista da sci, tirato su nel parcheggio. Una meta artificiale che rischia di fare concorrenza persino alle valli orobiche. Con il rischio di «cannibalizzare» pure il turismo, dopo il piccolo commercio.

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