sabato 23 marzo 2013
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​Il tempo. Il silenzio. La pazienza. E i profumi della propria terra. È un pensiero d’amore quello che sta dentro una botte. Per 25 anni. Non c’è cascina o cantina, qui a Modena, in cui non ci sia una piccola, personale acetaia. Quella di un nonno o di un padre dedicata a un figlio che nasce. Con il mosto di vino delle viti di famiglia da cuocere e far fermentare. Un’eredità da consegnare a un’altra generazione. Un dono che matura nel tempo. Diventa "vecchio". E quindi prezioso. Sprigionando tutta la sua essenza. Poesia, forse. Ma quando ci si imbatte in un produttore di aceto balsamico, con una ampolla di «tradizionale» in mano, si respira davvero questa magia. Quando libera qualche goccia senti tutta la potenza di questa terra. È il rosso antico di Modena che fa il paio con il rosso rampante della Ferrari di Maranello come ambasciatore di questo pezzo di Emilia nel mondo. «Una passione familiare, artigianale, che una volta rientrava persino nei lasciti testamentari – dice Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Igp e a capo della «Del Duca», una delle aziende storiche, in campo da quattro generazioni e oggi con 22 dipendenti –. L’aceto balsamico s’intreccia con la storia e la cultura dell’antico Ducato Estense. E rappresenta ormai una fetta importante dell’economia del territorio. Negli anni Settanta – aggiunge – erano appena tre i produttori. Oggi sono 79 le aziende che producono 90 milioni di litri di Aceto Balsamico Igp, per un giro d’affari complessivo di 433 milioni di euro e 550 addetti». Gli operatori registrati che lo fanno anche solo per passione sono 242. Trecento i piccoli produttori iscritti al Consorzio di tutela (ma solo un centinaio imbottigliano e commercializzano) che lavorano invece il tradizionale Dop, il «tesoro» antico di Modena. In questo caso le quantità sono decisamente minori (90mila bottiglie da 10 cl) e «disperse» in tutto il mondo fra clienti esigenti. Anche perché una bottiglia di extravecchio, costa attorno agli 80 euro (una da collezione, invecchiata 100 anni, può costare 500 euro) Un prodotto di altissima qualità da consumare quindi a piccole gocce.Una storia affascinante, ma per niente… dolce. D’altra parte l’aceto, anche se balsamico, resta aspro, pungente. Come il cammino di questa eccellenza made in Emilia. Da quando Adriano Grosoli, uno dei precursori, chiudeva la sua storica gastronomia per girare le fiere di mezzo mondo con preziose ampolle di balsamico a oggi, di strada se ne è fatta e non senza intoppi e controversie. I riconoscimenti sono arrivati nel tempo. Una prima citazione era datata 1933. Nel 1965 il primo assetto normativo che ha dato il "la" a un percorso di valorizzazione di questa tipicità. Ma si è dovuto attendere più di vent’anni per un quadro ben definito. Il «tradizionale» ha ottenuto la Doc nel 1986 ed è stato riconosciuto Dop dalla Comunità europea nel 2000. L’Igp, più "industriale" per quantità e catena di distribuzione, ha ricevuto la certificazione solo nel 2009. Quindi la governance: perché attorno all’aceto "fermentano" anche le organizzazioni di categoria. C’è il Consorzio Aceto Balsamico appunto, ma anche il Consorzio di Filiera dell’Aceto per l’Igp. E per la Dop, oltre al Consorzio di tutela Abtm, che rappresenta l’ente di garanzia ministeriale e sovrintende all’imbottigliamento, c’è anche il Consorzio dei Produttori Antiche Acetaie. A cui si aggiunge la Consorteria di Spilamberto che opera più sul fronte culturale. E poi ci sono gli assaggiatori, fondamentali nel certificare il prodotto e dare il via libera all’imbottigliamento, con le loro associazioni, fra cui l’Aed degli esperti degustatori. Un universo, dunque. «È vero, ci sono molte anime. Ma tutte legate dai disciplinari di tutela, dalla tradizione e dalla voglia di crescere», dice la Grosoli. «Per l’Igp posso dire che la "diaspora" ha i tempi contati». L’obiettivo principale del suo mandato sarà proprio «il completamento del percorso di unificazione delle varie anime produttive già avviato dal consiglio uscente. Per il bene del prodotto, ritengo non sia più procrastinabile la costituzione del consorzio di tutela: i dati relativi alle contraffazioni e imitazioni dell’aceto balsamico di Modena sono ogni anno più allarmanti. Come ci insegna l’esperienza dei maggiori e più antichi consorzi, come quello del Parmigiano Reggiano, solo un consorzio fortemente rappresentativo delle diverse realtà produttive può sperare di attuare efficacemente le azioni di difesa, promozione e miglioramento della qualità».Mentre si muove fra i tini della sua azienda a S.Vito di Spilamberto, dove produce anche il biologico per clienti canadesi e giapponesi, fra botti datate 1890 e moderni macchinari, ci racconta di come la Grecia, bypassando il regolamento sulle Dop, ha registrato l’Aceto balsamico greco. Allora diventa fondamentale puntare su tutela e unità. Eliminare le percentuali di "acidità" residue per un unico percorso di valorizzazione. «L’aceto balsamico di Modena rappresenta per volumi e indotto di filiera un’importante espressione della realtà economica del territorio. A fianco della tradizione agroalimentare si è sviluppata sempre più una importante tradizione agroindustriale», rileva il sindaco di Modena, Giorgio Pighi. «Un settore che ci ha permesso di resistere alla crisi e al terremoto», aggiunge con fierezza.Dopo il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, l’Aceto balsamico di Modena è il prodotto più apprezzato anche nelle classifiche degli esperti. La fondazione Qualivita nel 2011 lo poneva al top della classifica dei migliori prodotti italiani. Con una notazione sull’export: il 92% dei volumi va all’estero. «L’aceto balsamico è il vero ambasciatore di Modena», conclude il sindaco. Così l’eredità che si trasmette da padre in figlio diventa una responsabilità per i modenesi di ogni generazione. Il futuro è in tante piccole botti. Da custodire. Anche per un quarto di secolo.
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