mercoledì 26 aprile 2023
Meno potere d'acquisto, ma tasse più alte

IMAGOECONOMICA

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L’inflazione alta ha colpito due volte i redditi dei cittadini delle trentotto nazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), facendo del 2022 uno degli anni più duri di sempre per le finanze personali degli abitanti dei Paesi dalle economie “sviluppate”, cioè circa 1,3 miliardi di persone. Il primo colpo inflitto dall’aumento dei prezzi è ovviamente quello diretto: l’inflazione media dell’area Ocse lo scorso anno è raddoppiata, passando dal 4% al 9,6%.

Dovunque i sindacati si sono mobilitati per cercare di difendere il potere d’acquisto dei lavoratori. In molti casi ci sono riusciti (in Italia meno che altrove), provocando anche più di una preoccupazione negli uffici delle grandi banche centrali, che temono l’avvio della temutissima spirale salari-prezzi, ripetutamente citata anche dal nostro governatore Ignazio Visco. In ogni caso raramente gli aumenti delle paghe hanno bilanciato la crescita dei prezzi. Nel rapporto Taxing Wages 2023, pubblicato ieri, l’Ocse nota che in 35 dei 38 Paesi membri i salari sono aumentati meno dell’inflazione.

Quindi il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito quasi dovunque: le uniche eccezioni nell’area Ocse sono Ungheria, Colombia e Svizzera. In media lo scorso anno la variazione reale dei salari, cioè quella che tiene conto dell’inflazione, è stata un calo del 3,3%. Gli stipendi però sono aumentati, con una crescita media del 7%, e questo ha portato a un secondo sgradevole effetto. Perché in tutti gli Stati in cui la tassazione dei redditi è progressiva, e dove quindi le aliquote crescono all’aumentare del salario, la crescita degli stipendi può provocare un aumento della percentuale di reddito da versare allo Stato. Cosa che è successa nella maggioranza dei Paesi dell’Ocse. Compresa l’Italia. Il reddito medio lordo dei lavoratori italiani, secondo i dati raccolti dall’organizzazione basata a Parigi, lo scorso anno è aumentato da 32.029 a 33.855 euro, cioè del 5,7%. Se però si tiene conto dell’inflazione, il reddito reale medio è sceso del 2,2%.

Eppure, a causa della rigidità delle aliquote Irpef, che come noto non si adeguano da sole (come invece avviene in 17 Paesi dell’Ocse), la tassazione sul reddito del cittadino medio è salita, anche in questo caso di un 2,2%. Quindi le famiglie si sono trovate ad avere un po’ di soldi in più, ma ne hanno dovuti spendere più di prima e hanno anche dovuto aumentare il loro contributo all’erario. L’Italia si conferma al quinto posto per il peso del cuneo fiscale sul costo del lavoro: la quota di reddito dei lavoratori dipendenti che va allo Stato tra imposte e contributi è salita al 45,9%, 0,47 punti percentuali in più rispetto al 2021. La distanza tra costo del lavoro e reddito netto del lavoratore è più alta solo in Belgio, Germania, Francia e Austria. La media Ocse è al 34,6%, piuttosto distante. Il cuneo fiscale italiano è fatto principalmente di contributi pagati dall’azienda (il 24% del costo del lavoro), quindi dall’Irpef (15,3%) e infine contributi pagati dal lavoratore (6,6%).

A livello di imposte sul reddito come quota del totale del costo del lavoro, nessuno nel 2022 ha segnato un aumento paragonabile a quello dell’Italia: 1,07 punti percentuali in più, quando la media dell’area Ocse è una crescita di soli 0,05 punti. Il rapporto dell’Ocse offre un confronto anche tra la situazione delle famiglie, con risultati interessanti. Per una famiglia con due figli – in cui entrambi i genitori lavorano, uno con un reddito in linea con la media nazionale e un altro che guadagna un terzo in meno della media – l’aumento del peso dell’Irpef sul costo del lavoro è addirittura di 2,89 punti percentuali. Il cuneo fiscale di questa “famiglia tipo” è però sceso di quasi due punti, al 37,4%. Merito dell’assegno unico universale, in vigore da un po’ più di un anno, che ha portato a un aumento di 4,7 punti sul totale del costo del lavoro dei cosiddetti “cash benefit”, i contributi in denaro.

Quella che l’Ocse definisce la “preferenza fiscale” per le famiglie, cioè la differenza di cuneo fiscale tra un single e una coppia con due figli in cui lavora una persona sola, in Italia è dell’11%, un po’ sopra la media dell’Ocse (che è dell’8,9%). C’è stato un progresso di questo indicatore, salito di 1,4 punti lo scorso anno, ma anche in questo caso c’è evidentemente molta strada ancora da fare.

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