martedì 24 luglio 2018
Negli Usa il manager italo-canadese viene ricordato come l'uomo che ha salvato Chrysler grazie a un'intesa con la Casa Bianca di Obama
Barack Obama con l’Ad di Fiat e Chrysler a Detroit

Barack Obama con l’Ad di Fiat e Chrysler a Detroit

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Pragmatico e lungimirante anche nei rapporti con il potere, Sergio Marchionne viene ricordato in questi giorni negli Stati Uniti come l’uomo che ha salvato Chrysler grazie a un’intesa con il democratico, globalità e ambientalista Barack Obama. E che ha saputo mantenere il suo rapporto privilegiato con la Casa Bianca anche dopo l’insediamento a Washington del repubblicano, protezionista e negazionista climatico Donald Trump.

La componente culturale anglosassone del manager italo-canadese ha certamente creato la base al suo successo statunitense, che si realizza nel 2009, quando la gravissima crisi finanziaria che aveva messo in ginocchio Wall Street e le banche si era già estesa al mondo industriale. Per evitare un tracollo che avrebbe colpito milioni di lavoratori, l’Amministrazione Obama aveva deciso di salvare il colosso dell’auto General Motors, ma stava discutendo se lasciar morire Chrysler. Alla fine l’allora presidente sceglierà di concedere a Chrysler i fondi necessari per emergere dalla bancarotta. Si trattava di una mossa politica, dettata più dal bisogno di evitare la crisi di un intero settore, e quindi un altro shock per l’economia, più che per una reale fiducia nella redditività a lungo termine della casa automobilistica.

Ma Marchionne riuscirà a spingere Obama più in là, strappandogli un accordo che gli affida Chrysler, senza che Fiat dovesse sborsare un centesimo, in cambio della tecnologia delle auto piccole di Fiat.

È così che Fiat riesce ad ottenere dalla Casa Bianca, con il consenso dei potenti sindacati metalmeccanici americani, il 20% di uno dei tre grandi colossi dell’automobilismo Usa. Obama di Marchionne avrebbe apprezzato l’esperienza come "risanatore" di aziende oltre all’impegno a investire in vetture ecologiche. È il primo passo di un percorso che porterà, nel giro di 5 anni, al controllo del 100% di Chrysler da parte del gruppo torinese, con la nascita di Fca (Fiat Chrysler Automobiles).

Una volta chiusi i contenziosi con i creditori, Marchionne si dedica a risollevare gli stabilimenti Chrysler e Jeep, fino a tornare ad assumere e a restituire tutti i 6,6 miliardi di dollari ricevuti in credito dal governo statunitense, con gli interessi. Obama può dunque lasciare il suo secondo mandato dichiarando di aver salvato l’industria automobilistica non solo a costo zero, ma persino garantendo un piccolo profitto per i contribuenti. Intanto Marchionne aveva ricostruito la società fino a farne una casa automobilistica globale senza debiti, e, a partire dal 2011, redditizia. L’anno scorso, la società ha venduto due milioni di veicoli negli Stati Uniti, più del doppio delle sue vendite nei giorni bui del 2009.

Nel 2016 però l’America volta pagina ed elegge un magnate miliardario dell’immobiliare che comincia a governare all’insegna del protezionismo, del "made in Usa" e di un’ostilità aperta verso le aziende americane che producono all’estero. Eppure il rapporto tra la Casa Bianca e Marchionne nella sostanza non cambia. Trump ammira il manager italiano. Nel corso di un incontro con tutti i vertici dell’industria automobilistica americana, sostiene che l’amministratore delegato di Fca è "il mio preferito in questa stanza". Anche questa volta Marchionne riesce a valorizzare agli occhi del capo della Casa Bianca l’aspetto della sua attività che questi preferisce, vale a dire l’intenzione di continuare a investire negli Usa, spostando in Michigan una piccola parte della produzione che Fca aveva trasferito in Messico. Una concessione più d’immagine che di sostanza, accompagnata però da dichiarazioni pragmatiche che valgono a Marchionne la continua stima della Casa Bianca, che lunedì ha telefonato a John Elkann per esprimergli il suo dolore per le condizioni del manager, chiedendogli di trasmettere la sua vicinanza alla famiglia.

"Capisco la posizione di Trump, politicamente la capisco - ha detto infatti di recente il Ceo -. Credo che bisogna correggere delle anomalie negli scambi commerciali a livello internazionale. E lui ha una forza straordinariamente diretta nel cercare di correggerli".

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