giovedì 9 maggio 2019
Oltre 56mila imprese e 385mila addetti. La Dop economy ha quasi un terzo delle Indicazioni geografiche nel mondo: valore di 15 miliardi alla produzione e 8,8 all’export
L'Italia del cibo vale 140 miliardi
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«L’agroalimentare è un settore cruciale per l’industria italiana. Abbiamo stipulato buoni accordi internazionali per tutelare i nostri prodotti. Ma dobbiamo continuare a combattere contro la concorrenza sleale. Servirebbe un commissario italiano in Commissione europea che si occupi di settori produttivi, abbia una visione strategica e un ruolo decisionale importante per l’Italia, che è la seconda potenza economica dell’Ue». Questo il quadro tracciato dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani in occasione del 1° convegno di Federalimentare Industria alimentare: cuore del made in Italy. Oltre 56mila imprese e 385mila addetti per un fatturato che supera i 140 miliardi di euro, di cui quasi 35 derivanti dalle esportazioni. Significativa anche la performance della Dop economy che, con 200mila imprese, detiene quasi un terzo delle Indicazioni geografiche (822 denominazioni Dop, Igp e Stg su 3mila circa nel mondo) per un valore di 15 miliardi alla produzione e di 8,8 miliardi all’export, pari al 18% del valore complessivo del settore e al 20% del totale delle esportazioni.

«Agricoltura e industria agroalimentare devono collaborare – spiega il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio –. Non sono avversari. L’agri-food è un punto di forza della nostra economia e un fiore all’occhiello del made in Italy. Vogliamo costruire un’agorà al ministero dove si possano confrontare tutti i mondi dell’agricoltura: associazioni di categoria, aziende, sindacati. Visto e considerato che l’agricoltura italiana è molto cambiata rispetto al passato, e sta cambiando molto velocemente, come quella mondiale, stiamo cercando di capire come possono le nuove tecnologie aiutare il mondo agricolo. Coinvolgere il mondo accademico e gli investitori privati». Per il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio i dati «mostrano un miracolo tutto italiano: quello del saper fare delle nostre aziende, dai top player alle pmi, che trasformano le materie prime italiane e straniere in un prodotto lavorato e richiesto in tutto il mondo».

Il made in Italy è sinonimo di qualità grazie a un insieme di fattori, tra cui il più importante è il prodotto, risultato della trasformazione di ingredienti semplici, ma di elevato livello, integrati attraverso un processo produttivo unico al mondo. Ma non mancano le criticità. Una fra tutte è la frammentarietà delle imprese, in maggioranza (98%) piccole e micro e solo l’1% della totalità con più di 250 dipendenti, che avrebbero necessità di presentarsi sui mercati esteri come un sistema produttivo compatto e portatore di valori unitari. «L’industria alimentare italiana – sottolinea Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria – è il secondo settore manifatturiero dopo quello dei macchinari con una proiezione sui mercati internazionali che continua a crescere nonostante le difficoltà congiunturali che stiamo vivendo».

«Il futuro Parlamento europeo – conclude Paolo De Castro, vice presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo – dovrà battersi per fornire all’industria alimentare italiana gli strumenti necessari per generare valore aggiunto ai livelli dei suoi concorrenti Ue. I produttori, dal canto loro, dovranno essere capaci di fondare un patto fiduciario con i consumatori, all’insegna della qualità del prodotto e del processo di produzione. Agricoltura, industria e cittadini europei devono muoversi insieme, consci di essere necessari gli uni agli altri».

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