martedì 4 novembre 2014
​In Italia già mille casi di "workers buyout". Poletti: strada giusta.
Partecipare funziona di Francesco Riccardi
COMMENTA E CONDIVIDI
«È un fenomeno in crescita e importante che dimostra che i lavoratori sono in grado di diventare imprenditori, gestirsi l’impresa e garantirsi una prospettiva di lavoro». Così il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha commentato, a margine di un convegno sul tema, promosso da Confcooperative a Bologna, il fenomeno dei lavoratori che si uniscono in cooperative per salvare le imprese in crisi, diventando essi stessi imprenditori e conservando quindi il proprio posto. «Credo sia una strada giusta e utile – ha aggiunto Poletti – che va incentivata e che oggi è sostenuta anche da alcune leggi che aiutano i lavoratori. È un’esperienza importante perché dà il segno che le cose si possono fare».  In termine tecnico l’acquisizione di un’azienda fallita da parte dei suoi dipendenti si chiama workers buyout. In Italia se ne contano un migliaio dal 2008 a oggi (anche se uno dei casi storici è la Scalvenzi di Brescia, trasformata in cooperativa nel 1982). Sono concentrate soprattutto in Emilia Romagna e Toscana. Ma si trovano anche in Lombardia, Lazio, Puglia e Sicilia. Oltre il 70% riesce a sopravvivere. Il capitale iniziale viene dal Tfr e dai fondi delle associazioni di cooperative. Ma c’è perfino chi ipoteca la casa per rilevare la società che lo aveva licenziato. Il fenomeno – che ha ripreso piede in Italia negli anni della crisi – è molto diffuso all’estero, sia in Europa che in America. Nel prossimo biennio, il progetto dell’Alleanza delle cooperative punta a sostenere 80 progetti, salvare 5mila posti di lavoro e investire 30 milioni di euro. In un libro – Futuro presente – sono raccolte 24 storie di workers buyout per un totale di oltre 700 persone occupate nella sola Emilia-Romagna. «Workers buyout in cooperativa per sfidare la crisi – sottolinea Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative –. È il protagonismo dei cittadini che avanza, che si auto organizza e traduce un bisogno in una risposta. Un impegno che non solo riafferma il ruolo dell’art. 45 della Costituzione, ma consente a pezzi di Paese di intravvedere un percorso di futuro e di speranza». Tra le cooperative c’è chi organizza spettacoli teatrali, chi fa segnaletica stradale, chi produce birra artigianale, chi è attivo nell’accoglienza e mediazione culturale oppure nella ricerca scientifica, nel cohousingsolidale, nel design sartoriale, nella carpenteria, nelle costruzioni, nei servizi informatici.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: