sabato 29 giugno 2013
​Il premier: «Triplicate le nostre risorse a 1,5 miliardi. Taglieremo anche la spesa, ma dietro ci sono le persone».

L'Europa per il lavoro tra paura e orgoglio di Giorgio Ferrari
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​La cravatta è di un viola un po’ spento. Ma il sorriso è quello delle grandi occasioni, studiato a tavolino per spazzare via le ombre di una notte difficile. «L’Italia sulla disoccupazione giovanile ha vinto», esordisce Enrico Letta nel briefing con la stampa che chiude la sua spedizione europea. E giù cifre: ai 6 miliardi ad hoc stanziati per il biennio 2014-2015, se ne aggiungono altri 3 a valere dal 2016. Non solo: siccome il fondo sarà distribuito in base alle singole regioni con più del 25% di ragazzi a spasso, l’Italia vede salire la sua dote a 1,5 miliardi, uno spendibile nei prossimi due anni e l’altro mezzo a seguire. «Abbiamo triplicato il bottino ma non ci fermiamo.Chiederemo altre risorse, prima però dobbiamo spendere bene queste», esulta il premier ricordando che le precedenti stime assegnavano a Roma tra i 400 e i 600 milioni.

A Berlino, mercoledì prossimo, sotto l’occhio vigile di Merkel, Letta, Rajoy e Hollande, i ministri del Lavoro dei 28 Stati membri decideranno come usare il tesoretto. C’è da applicare la Youth guarantee, quel piano della Commissione europea che prevede di offrire un lavoro o un’opportunità formativa a quattro mesi dalla laurea o dalla disoccupazione. Ma il premier vuole "negoziare" con l’Ue la possibilità di usare parte del miliardo e mezzo anche per altri scopi, ad esempio per altri interventi selettivi sul costo del lavoro.Si dà i voti, Letta. Si promuove sui giovani. Ma si mantiene più basso sugli altri temi. «Sull’Unione bancaria ce l’abbiamo fatta all’ultimo tuffo», dice accennando alle solite baruffe con il Nord Europa. Sul ruolo della Banca europea degli investimenti, invece, è finita in «pareggio». La Bei viene invitata dal Consiglio ad aumentare i prestiti del 40%, ma all’inizio si parlava del 50. L’asse nordico, per preservare la tripla A della Banca, ha frenato l’iniezione di liquidità alle Pmi. «È un errore, la Bei deve essere il braccio armato dell’economia reale», si rammarica il premier.

Parla, Letta. Non si sottrae. Vuole capirsi con gli italiani, in alcuni tratti fissa le telecamere più che i cronisti. Si percepisce che vorrebbe inculcare una nuova idea di Europa più vicina alle persone e meno all’«eurocrazia». È palpabile la paura che nella primavera 2014 le forze populiste entrino in massa nel Parlamento Ue. Ma forse per la prima volta Letta è molto combattivo anche sulle polemiche interne. «Un autorevole sito – dice riferendosi al blog di Grillo – ha rischiato di mandare "in vacca" il dl-lavoro dicendo cose false. Noi proponiamo una decontribuzione totale per i contratti a tempo indeterminato per una platea ampissima di giovani. Le imprese non hanno più alibi». Non è poi casuale nemmeno quel riferimento al Consiglio Ue del 2005 – premier Silvio Berlusconi – in cui pure si parlava di lavoro, ma le cui conclusioni furono «generiche».Dopo giorni passati ad incassare, qualche sassolino inizia a venir fuori da solo dalle scarpe. «Brunetta? Le sue critiche – dice con una volontaria vena retorica e con un filo di ironia – ci spingono a fare sempre meglio, a correre di più». E al Cavaliere che di continuo lo invita a battere i pugni sul tavolo con la Merkel, Letta replica ricordando, tra i sorrisi, la scarpa brandita da Kruscev all’Assemblea generale Onu (vedi box a fianco, ndr). Poi si fa serio: «Chi pensa che io sia qui a sfasciare i conti ha sbagliato primo ministro». È un avvertimento, non una minaccia. Seguito da ampie rassicurazioni: «Il Pdl sostiene questo governo. Riforme? Quagliariello ha chiarito tutto. I processi? Nessun impatto, e nessun leader mi ha chiesto nulla».

In filigrana c’è la strategia di medio periodo del premier. Scollinare l’estate «con prudenza e coraggio», poi iniziare un autunno «pianeggiante». Con tre bombole di ossigeno per agganciare la ripresa: la riduzione dei tassi d’interesse, il gettito derivante dagli arretrati della PA, i margini di flessibilità Ue per chi resta sotto il 3% di deficit. E i tagli alla spesa? «Ci saranno – frena il premier –, ma ricordando che dietro ci sono persone. Ho sempre davanti agli occhi il volto degli esodati…». No, non è la spending la strada preferenziale di Letta. La fiche migliore è cambiare da dentro l’Europa. «È tempo di pensare ai premi per chi rispetta i patti di bilancio, e non solo alle punizioni». È la golden rule, lo scorporo dal deficit del cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali, la prossima campagna europea di Letta. Che dovrebbe andare di pari passo con un intervento radicale sul cuneo fiscale da 8 miliardi di euro. «Detassare il lavoro – ripete il premier – è la nostra priorità». Se ne parlerà dopo le elezioni tedesche. Letta conta di essere ancora lì, al suo posto, per gestire "la discesa". «Presiederò il semestre europeo che inizia a luglio 2014», avrebbe sussurrato ad Angela Merkel salutandola.

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