giovedì 19 maggio 2016
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Il chilowattora. Colloqui nella famiglia dell’Aem, Vivavoce, L’Alfista, Ausorgan, Il contatore, Quattrofili, Il battistrada, La betoniera, Noi della rotaia, Notizie di fabbrica. Sono alcuni dei nomi delle prime testate aziendali, pubblicate dai primi anni ’50 per avvicinare le aziende ai lavoratori. Molto prima che nel vocabolario comune entrassero termini come fidelizzazione, strategie di marketing e responsabilità sociale d’impresa, queste riviste si sono assunte il grande e impegnativo compito di far conoscere, al di là della mera produzione, il volto più umano dell’azienda, quello fatto da iniziative culturali e sociali, incontri, raduni, convegni, premiazioni, discorsi, in un’ottica di 'grande famiglia'. Le aziende li hanno dall’inizio considerati importanti strumenti di dialogo al punto da fondare, già nel 1955, un’associazione dedicata, l’Asai (Associazione della stampa aziendale italiana) successivamente mutata in Ascai, Associazione per la comunicazione aziendale italiana. Come spiega il suo presidente, Maurizio Incletolli, «Ascai favorisce lo sviluppo e lo scambio delle conoscenze relative alla comunicazione aziendale, con particolare attenzione alla comunicazione interna. Tra le molte iniziative periodicamente effettuiamo un’indagine sulla comunicazione d’impresa, l’unica del genere in Italia cui dedicheremo una pubblicazione mirata. Abbiamo intitolato l’ultima 'Dalla carta al web: stato ed evoluzione delle pubblicazioni d’impresa in Italia' anticipando con esso gli importanti mutamenti evidenziati ». Salta subito agli occhi la progressiva ed esponenziale integrazione tra la carta e il web e, in funzione di quest’ultimo, l’avvio di un dialogo 'orizzontale' e non solo 'verticistico' che viene reso possibile dalla semplice attivazione di un profilo Facebook o di un intranet aziendale. Oltre la metà del campione di aziende italiane (53,3%) pubblica almeno un periodico. Tra queste il 20% ha un’edizione solo cartacea e il 55% la integra con l’online. del rimanente il 25% solo online, per il 45% si tratta di una testata ’migrata digitale’ per il 55% di una testata ’nativa digitale’. Prevale la tendenza a proporre in rete la versione tipografica del periodico, con testi e linguaggi adatti a essere letti e approfonditi su carta piuttosto che su pc o tablet: ben l’81,8% ha l’edizione online che replica esattamente quella cartacea, mentre nel restante 18,2% l’edizione online è diversa per contenuti, aggiornamenti e formati multimediali, ma solo parzialmente aperta alla condivisione e partecipazione dei lettori. «Occorre muoversi sempre più verso formule social di condivisione del prodotto editoriale » specifica il presidente Incletolli che, nonostante le innovazioni tecnologiche ritiene che la comunicazione aziendale del futuro dovrà privilegiare una relazione più diretta tra impresa e persone, puntando sul «coinvolgimento emozionale rispettoso delle culture individuali». Ascai possiede anche un ricchissimo archivio storico digitalizzato, il Fondo Ascai che conta 800 testate aziendali di cui 720 italiane. Sono periodici di ogni tipo, dal notiziario di fabbrica agli house organ di grandi imprese e gruppi industriali, rivolti all’interno (all’intero personale o a singoli settori e segmenti), e ai pubblici esterni (clienti/utenti, fornitori, azionisti). Non si tratta di 'memoria storica industriale' ma di uno strumento di conoscenza vivo e mutevole, grazie al quale è possibile conoscere le trasformazioni delle aziende e il loro porsi nei confronti del mondo in generale. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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