venerdì 15 settembre 2017
Focus sui formagi al ventennale di "Cheese"
Le potenzialità inesplorate del latte crudo
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Il settore caseario ha troppa paura del latte crudo. In Italia si producono più di 500mila tonnellate di formaggi che esportiamo in tutto il mondo, ma esistono spazi di mercato ancora inesplorati perché l’utilizzo della materia prima non pastorizzata si scontra con una diffidenza planetaria. «Non è tanto un problema di sicurezza alimentare, bensì di investimenti industriali e marketing – spiega Giampaolo Gaiarin, tecnologo della fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige –, nel senso che l’industria preferisce lavorare il latte pastorizzato e, di conseguenza, il mercato conosce soprattutto i formaggi nati da quella materia prima, anche se il latte crudo garantisce aromi e sapori ben diversi». Una deriva, secondo Slow Food che dedica l’edizione del ventennale di Cheese, la rassegna più importante del settore, proprio al latte crudo. Come spiega Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e responsabile scientifico di Cheese, «per l’Ue i formaggi a latte crudo sono ormai una realtà che non si mette in dubbio, ma molti Paesi hanno una legislazione molto più restrittiva e nel resto del mondo queste produzioni sono consentite solo con una stagionatura superiore ai 60 giorni».

Le preoccupazioni sanitarie sono di facciata. La pastorizzazione rende (aumenta la massa della cagliata) e permette di trasportare il latte a grande distanza. Ci rimette il consumatore, in termini di gusto, il piccolo produttore scompare e con la riconoscibilità del prodotto diminuisce il suo valore aggiunto. Non a caso, i maggiori produttori di formaggi Dop sono italiani e francesi ma il maggior produttore di formaggio è la Germania. Cheese, che si tiene a Bra (Cuneo) da oggi a lunedì, ospiterà gli Stati generali del latte crudo. L’obiettivo dichiarato dell’organizzazione di Carlin Petrini è di creare un movimento per rivendicare la liceità di questo prodotto al di fuori dell’Ue. «Tre sono le questioni in gioco – afferma Sardo – e la prima è la libertà: non è ammissibile che non si possa mangiare quello che si vuole, se le condizioni di sicurezza sono rispettate. La seconda riguarda il modello produttivo: l’utilizzo del latte crudo è espressione della piccola produzione artigianale. L’ultimo punto è la biodiversità che, quando parliamo di formaggi, non si limita alle razze animali o ai tipi di pascolo, ma riguarda anche quei miliardi di batteri che, con la pastorizzazione e gli altri tipi di trattamenti termici, vengono sterminati. Al contrario, un formaggio a latte crudo è vivo, ricco di batteri che non solo contribuiscono a conferirgli sapore e aromi complessi e di carattere ma garantiscono benefici alla salute».

Aggiungiamo pure che esistere un mercato, anche in Italia: siamo il Paese dei formaggi tipici (49 denominazioni di origine protetta su 188, contro le 45 della Francia) e, a fronte di una produzione di 523mila tonnellate e un export di 388mila, importiamo ancora 516mila tonnellate. Siamo cioè dei consumatori maturi, in grado di apprezzare questo prodotto, ma il 39% delle Dop europee obbliga i produttori a utilizzare il latte crudo e l’8% addirittura lo vieta. La battaglia di Cheese attraverserà tutta la manifestazione, dalle conferenze ai Laboratori del Gusto; per la prima volta, il mercato su cui si affacciano ogni anno decine di migliaia di gourmand (oltre 270.000 visitatori nel 2015 e 350 espositori quest’anno) presenterà solo formaggi prodotti con latte crudo. A portare la loro testimonianza ci saranno autentici esperti come Giandomenico Negro de 'La bottega nel pascolo' che stagiona nel collegio dei Gesuiti di Fidenza, in un complesso del XVI secolo sulla via Francigena: «Produrre con il latte crudo e fermenti naturali - racconta - significa valorizzare piccoli allevamenti, attenti al benessere degli animali, lasciati liberi di pascolare. E’ una cultura diversa da quella di massa, che ha costi diversi ma anche una qualità diversa». Come quella della robiola caprina della Langa, del pecorino di Lodé o del blu di vacca podolica di Lucera, alcune delle gourmandises commercializzate dalla 'bottega' al ritmo di mille chili a settimana.

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