venerdì 24 maggio 2019
La Teoria monetaria moderna considera la moneta una creazione dello Stato e la spesa pubblica come il veicolo per immetterla nell’economia
L'economista Georg Friedrich Knapp, 1842-1926

L'economista Georg Friedrich Knapp, 1842-1926

COMMENTA E CONDIVIDI

Il termine MMT (Modern monetary theory) è nuovo, coniato dall’economista australiano Bill Mitchell in un saggio pubblicato nel 2006, ma l’approccio risale agli scritti dell’economista tedesco Georg Friedrich Knapp alla fine dell’Ottocento, scritti citati da Keynes nel suo Trattato della Moneta. La MMT non è una teoria in senso stretto: manca di astrattezza, generalità e rigore matematico-formale. Prima della riscoperta di Mitchell, veniva considerata come una categoria del 'cartalismo', approccio che considera la moneta come 'creatura dello Stato' che la stampa, e la mette in circolazione nell’economia, tramite il bilancio pubblico nella dose che ritiene appropriata. Attualmente, la MMT ha il suo pensatoio e fortilizio all’Università del Missouri-Kansas e tra i maggiori esponenti Warren Mosler, direttore del Centro studi per la piena occupazione della medesima università e James Kenneth Galbraith, figlio del più noto John Kenneth Galbraith.

Senza entrare in dibattiti di metodo, la Teoria monetaria moderna considera la moneta una creazione dello Stato e la spesa pubblica come il veicolo per immetterla nell’economia. Di conseguenza, non solo non c’è quasi ruolo per autoritarie monetarie come la Banca centrale, ma la crescita economica è, in gran misura, funzione di quanta moneta viene immessa tramite spesa e deficit. In questo quadro, tasse e imposte non hanno necessariamente lo scopo di finanziare la spesa pubblica e di ridistribuzione, ma di agire sul ciclo: sono, quindi, da aumentare se l’inflazione appare eccessiva e da diminuire se invece ci sono fattori di produzione non utilizzati. La MMT, poi, presta poca attenzione al tasso di cambio, un 'benign neglect' che non tiene conto dell’eventuale appartenenza ad accordi sui cambi e tanto meno ad unioni monetarie.

Se il governo ritiene che spesa e deficit pubblico debbano crescere per raggiungere obiettivi di politica pubblica interna, il cambio viene lasciato deprezzare. Grazie a Stephanie Kelton, economista dell’Università del Missuori-Kansas nonché capo economista dello staff della Commissione Bilancio, l’approccio ha fatto una certa strada sia in ambienti vicino alla Casa Bianca, sia in alcuni settori dell’opposizione. In Italia se ne è fatto propugnatore tra i più attivi il giornalista e saggista Paolo Barnard, che ha organizzato convegni a Rimini e Cagliari alcuni anni fa. Barnard ha lavorato a lungo con l’attuale politico dei M5S Gianluigi Paragone ed ha ricevuto un certo ascolto in alcuni comparti del Movimento. In alcuni Paesi del Sudamerica, soprattutto Argentina, Brasile e Venezuela, i professori di Missuori-Kansas hanno trovato attenti ascoltatori. Ma ancor più interessante è il caso del Giappone, dove l’Abeconomics ha recepito alcuni aspetti della MMT. Tramite l’Abeconomics, infatti, la Teoria sta ricevendo attenzione da economisti vicini all’attuale maggioranza di governo. La strategia giapponese, però, ha comportato una forte svalutazione dello yen e, dopo un successo iniziale in termini di crescita economica e riscontro della Borsa, si è tornati ad aumenti del Pil quasi raso terra con salari che hanno subìto una riduzione in termini reali. Senza tener conto che il Giappone ha da decenni una politica di 'invecchiamento attivo': oggi si va in pensione a 70 anni con il 35% dell’ultimo stipendio e successivamente si è impegnati (gratis) in attività di pubblica utilità.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI