martedì 15 giugno 2021
I lavoratori agili non possono essere esclusi dal calcolo dell’organico aziendale ai fini della determinazione della «quota di riserva» per il collocamento obbligatorio
L'inclusione lavorativa dei disabili resta difficile

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La pandemia non “danneggia” il diritto d’assunzione dei lavoratori disabili (cosiddetto «collocamento obbligatorio»). Infatti, tutti i dipendenti occupati in smart working (modalità di svolgimento di lavoro praticamente divenuta ordinaria durante i mesi di lockdown ed emergenza per il Covid) rientrano nel calcolo della forza lavoro aziendale, ai fini della quantificazione del numero di disabili che il datore deve assumere obbligatoriamente. Lo precisa il ministero del Lavoro con l’interpello n. 3/2021, a risposta di un quesito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro (su proposta del Consiglio di Verona) che, piuttosto, chiedeva conferma della possibilità di escluderli al pari dei «telelavoratori».

Si ricorda, innanzitutto, che la legge n. 68/1999, obbliga i datori di lavoro, pubblici e privati, ad assumere persone disabili, in un numero stabilito in base all’organico aziendale costituito da tutti i lavoratori con contratto subordinato (cioè i dipendenti), con l’esclusione solo di alcune specifiche categorie previste sempre dalla legge.

Il quesito formulato al ministero del Lavoro prende le mosse dall’art. 23 del dlgs n. 80/2015. La norma esclude, da tale calcolo dell’organico aziendale, i «lavoratori ammessi al telelavoro» per l’intero orario di lavoro ovvero in proporzione all’orario in telelavoro rispetto al tempo pieno (in caso di telelavoro parziale). Per i consulenti sarebbe possibile assimilare i tele-lavoratori a quelli in smart working, con la conseguente esclusione anche di questi ultimi dall’organico aziendale e, quindi, dal numero di lavoratori disabili aventi diritto a essere assunti (la cosiddetta «quota di riserva»). L’assimilazione sarebbe possibile, per i consulenti, in considerazione delle analogie riscontrabili tra i due istituti («telelavoro» e «lavoro agile» ovvero «smart working»), entrambi caratterizzati dalla comune finalità di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, nonché da modalità organizzative flessibili simili, che consentono lo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto.

Il ministero del Lavoro la pensa diversamente dai consulenti, per due principali ragioni. La prima: perché, ai sensi del richiamato art. 23 del dlgs n. 80/2015, i datori di lavoro che si avvalgono del telelavoro per esigenze di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, lo fanno in forza di accordi con le associazioni sindacali, in virtù dei quali possono non computare i lavoratori nella «quota di riserva» dei disabili. La ratio di tale norma, spiega il ministero, sta nell’intento del legislatore d’incentivare, quanto più possibile, il ricorso a questo importante strumento di conciliazione. Lo smart working, invece, nasce in un contesto più ricettivo all’uso degli strumenti tecnologici da remoto e ha una regolamentazione propria (legge n. 81/2017) che, pur avendo caratteristiche comuni con il telelavoro, come per esempio la circostanza che l’attività lavorativa sia svolta al di fuori della sede aziendale, si spinge nella direzione di una maggiore flessibilità, dovuta in particolare a un’organizzazione dell’attività per fasi, cicli e obiettivi e all’assenza di precisi vincoli di orario e luogo di lavoro, fatti salvi i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale fissati per legge e per contrattazione collettiva. Inoltre, il ricorso allo smart working ha registrato un incremento esponenziale per la perdurante situazione emergenziale del Covid e, dunque, non in chiave di promozione della conciliazione, ma di tutela della salute pubblica e del mantenimento della capacità produttiva delle aziende.

La seconda ragione: l’assenza di una specifica norma d’esclusione dal calcolo della forza lavoro aziendale dei «lavoratori agili». Al di là delle possibili analogie e differenze tra i due istituti, infatti, nella legge n. 81/2017 non c’è la norma analoga all’art. 23 del dlgs n. 80/2015, che escluda espressamente i lavoratori in smart working dall’organico aziendale.

Per tali ragioni, il ministero conclude affermando che i lavoratori agili non possono essere esclusi dal calcolo dell’organico aziendale ai fini della determinazione della «quota di riserva» per il collocamento obbligatorio dei disabili.

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