giovedì 2 febbraio 2017
Per Emanuele Lazzarini (nella foto) sempre più piccole e medie imprese italiane e gli stessi lavoratori sono interessati allo smart working
Lavoro agile, cresce la domanda
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Il lavoro agile (o smart working) sta diventando una pratica sempre più usata anche in Italia. È una nuova filosofia lavorativa che prevede il passaggio da processi standardizzati, luoghi e tempi di lavoro rigidi, paradigmi fissi e regole imposte, a obiettivi condivisi, flessibilità spazio/temporale e regole definitive insieme. Progetto utopico? «Assolutamente no - spiega Emanuele Lazzarini, manager di Rwa Consulting, società di consulenza del Gruppo Easy Welfare -. Sempre più aziende in Italia stanno scegliendo di adottare politiche, capendo che indirizzare il singolo individuo al raggiungimento degli obiettivi, svincolandosi dalla vecchia logica del presenzialismo e del controllo, motiva e appassiona le persone a fare di più. La domanda è molto forte. Molto, però, dipende anche dai dirigenti».

I dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano illustrano chiaramente la situazione Italiana: il 30% delle grandi aziende ha avviato iniziative strutturate, nelle pmi invece la situazione è molto diversa, il livello di diffusione dei progetti di lavoro agile non è cresciuto significativamente negli ultimi anni, anche se diminuisce costantemente la quota di chi si dichiara contrario a discutere di questi temi in azienda. Questo può essere spiegato in parte dall’effetto trainante che hanno le grandi realtà produttive. Lo smart working non ha dovuto aspettare una legge per diffondersi, resta comunque evidente che è importante avere una normativa a suo supporto, soprattutto per riconoscere tutele per l’azienda e il lavoratore. Il disegno di legge 2233 relativo al lavoro agile è stato approvato al Senato nel 2016 e ora è in discussione in Commissione Lavoro alla Camera.

«Si tratta di un testo - continua il manager - che si limita ad individuare alcuni paletti a tutela del “lavoratore smart” e dell’azienda, definendo, ad esempio, che l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali sia disciplinata tramite un accordo individuale che definisca gli strumenti utilizzati dal lavoratore, i tempi di riposo e le modalità di disconnessione, le forme di esercizio del potere direttivo e del potere di controllo (nel rispetto dell’ art. 4 dello Statuto dei lavoratori) e le condotte del lavoratore che prevedono sanzioni disciplinari».

Intanto il 41% delle grandi imprese attua già politiche che favoriscono il lavoro agile. Solo il 12%, invece, non è interessata a "delocalizzare" i propri dipendenti. «L'effetto trainante non c'è ancora - conclude Lazzarini -. Il disegno di legge facilita le aziende anche perché tutela sia imprenditori che collaboratori, anche sulla questione degli infortuni. Questo cambiamento culturale, tuttavia, riguarda soprattutto i millennial, le nuove generazioni di lavoratori: sono più attenti allo smart working e alle proposte che arrivano dalle imprese in tema di politiche aziendali che favoriscono le relazioni e le iniziative sociali».

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