martedì 14 agosto 2018
Il monito di Marchionne del 2005 e le spese dei costruttori sullo sviluppo: nessun altro settore impiega tanto denaro sul proprio futuro
Sergio Marchionne, scomparso a Zurigo il 25 luglio scorso

Sergio Marchionne, scomparso a Zurigo il 25 luglio scorso

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In “Confessions of a Capital Junkie”, nell’aprile del 2015, Sergio Marchionne presentò un documento “visionario” sul futuro mondiale dell’automobile. La confessione di un “drogato” di capitali annunciata nel titolo era sostanzialmente la necessità di difendere il capitale fisso che – spiegò Marchionne – hanno tutte le grandi aziende automobilistiche. Uniamoci – diceva in sostanza l’allora ad di Fca – perchè divisi consumiamo troppo e bruciamo valore. Unendo le piattaforme di base invece avremo grandi risparmi, specie negli investimenti in ricerca e sviluppo, condividendo alcuni componenti del prodotto. Marchionne alludeva soprattutto ai sistemi di trasmissione, ai freni, e a tutte quella parti delle vetture che non spostano i criteri di scelta.

Impossibile non ricordarlo oggi, mentre l’Alleanza Nissan-Renault-Mitsubishi si conferma il primo produttore a livello mondiale davanti a Volkswagen nei primi 6 mesi del 2018, con 5,540 milioni di veicoli venduti. E soprattutto mentre l’Acea, l’unione dei costruttori automobilistici europei, ricorda che i suoi associati nel 2017 hanno speso 58,3 miliardi di euro nella in ricerca e sviluppo, cifra che colloca i marchi automobilistici europei al primo posto assoluto (con il 27% del totale degli investimenti complessivi), superando settori tradizionalmente ad alto contenuto d’innovazione come il biomedicale e il farmaceutico.

Le spese in R&D tendono ad accelerare in conseguenza del vortice di novità e di adeguamenti previsti dal mondo dell’automotive, con i nuovi sistemi di propulsione davanti a tutti, e il progressivo e necessario spostamento verso l’elettrificazione e il rispetto delle normative sempre più severe sulle emissioni che impongono ai costruttori spese gigantesche. Solo Volkswagen, subendo i contraccolpi economici del dieselgate, ha ridotto del 4% i suoi investimenti sulla ricerca rispetto all’anno precedente, fermandosi (si fa per dire) a poco più di 13 miliardi di euro. Tanti comunque se li si paragona con quelli di un colosso di un altro settore come Amazon, che nel 2017 ne ha destinati circa 14.

Mercedes guida questa classifica con 8,7 miliardi (+15%), davanti a Bmw che ha accantonato quest’anno 7 miliardi, pari quasi al 7% di quanto si aspetta di incassare dalla vendita delle sue vetture. Quel che conta soprattutto infatti non è il valore delle cifre destinate all’innovazione ma il loro peso sui ricavi, che sta percentualmente crescendo in maniera esponenziale per tutti. O quasi. Prima di salutare questa terra, anche Marchionne ha promesso 9 miliardi di euro di investimenti per l’elettrificazione della gamma Fca, ma globalmente ed entro il 2022. Da sempre e per primo aveva capito che ricerca e sviluppo necessitano di partner produttivi forti che (al momento) Fiat-Chrysler non ha, ma che prima o poi (più prima che poi se si dà retta alle voci di questi giorni) troverà inevitabilmente.

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