martedì 20 giugno 2017
Seghezzi, primo manager italiano del gruppo Sofinnova: in Italia ci sono grandi potenzialità nelle ricerca medica
Graziano Seghezzi, manager di Sofinnova

Graziano Seghezzi, manager di Sofinnova

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«Il bello del nostro lavoro è avere a che fare con persone straordinarie». Capita quando il mondo finanziario del venture capital incontra quello delle soluzioni terapeutiche e farmacologiche di frontiera ancora agli stadi iniziali di progetto o di azienda start-up, spesso senza fondi o quasi, racconta Graziano Seghezzi, primo manager italiano appena nominato nella stretta cerchia ai vertici del gruppo Sofinnova, basato a Parigi e fra i leader internazionali della finanza 'intelligente' al servizio delle bioscienze. Più che sciorinare cifre, Seghezzi evoca «belle storie umane» con cui si è imbattuto da quando si è lanciato in questo campo nel 2001, dopo cinque anni passati a New York come ricercatore universitario biomedico. Fra gli esempi, quello di Silvano Spinelli, già a capo del centro ricerche lombardo della Boehringer Mannheim, chiuso negli anni Novanta, quando la società fu acquisita dal gigante Roche. Spinelli cercò di non disperdere il capitale professionale dei ricercatori licenziati, racconta Seghezzi. Ci riuscì rivolgendosi anche a Sofinnova, capace di convogliare in una nuova società i fondi di una cordata internazionale d’investitori. Risultato: da un disastro sindacale fino all’immissione nel mercato di un farmaco «venduto in un’indicazione particolare del cancro». Forte di quest’esperienza, sempre spalleggiato da Sofinnova, Spinelli ha partecipato alla creazione nel novembre 2015 di Biovelocita, «primo acceleratore italiano dedicato alla aziende biotech».

Un consorzio concepito per l’incontro fra la ricerca universitaria, l’esperienza di manager come Seghezzi, i fondi 'intelligenti' provenienti da investitori privati e pubblici. Un’altra storia cara a Seghezzi è quella del ricercatore svizzero Michael Wacker. Dopo una scoperta universitaria nel campo dello sviluppo di vaccini, decide di fondare la società Glycovaxyn, aiutata da Sofinnova a diventare un’impresa strutturata. Risultato: la multinazionale farmaceutica britanni- ca GlaxoSmithKline ha fiutato le potenzialità della start-up e l’ha acquistata nel 2015 per 212 milioni di dollari. «Oggi, a Zurigo, c’è un gruppo di una cinquantina di ragazzi tutti più giovani di 40 anni che stanno sviluppando nuovi vaccini per la Gsk a partire da quest’invenzione che è stata fatta a metà degli anni 2000», racconta Seghezzi. «Quello che mi ha impressionato nei francesi è la loro capacità di avere un piano strategico industriale e portarlo avanti», continua il manager, evocando il connubio fra fondi privati e pubblici che ha portato la Francia a primeggiare in pochi anni in Europa per capitalizzazione nelle biotecnologie. Secondo Seghezzi, sono risultati alla portata dell’Italia, che può vantare una ricerca d’eccellenza internazionale in campi come le terapie avanzate per le malattie rare e l’oncologia. Ma «c’è ancora una mancanza d’ambizione, nel senso positivo».

Una certa ristrettezza d’orizzonti che non combacia con le tendenze del settore farmaceutico: «Noi investiamo soltanto in società con ambizioni globali. Che da piccole, vogliono diventare grandi aziende. In Italia, ce ne sono ancora poche con quest’ambizione. Stiamo lavorando pure su questo». Ma ambizioni senza paletti deontologici e bioetici? In proposito, il manager sostiene che l’andamento attuale del capital venture applicato alle bioscienze offre solide garanzie: «Quando interviene un investitore istituzionale, nazionale o internazionale, le regole sono fondamentali. Se possiamo permetterci di sbagliare un investimento, non possiamo permetterci di mettere in dubbio la nostra reputazione e ancor meno la reputazione dei nostri investitori. Nelle aziende in cui partecipo, non ho mai visto niente di particolarmente preoccupante». Per allargare gli orizzonti del settore biotecnologico, l’equazione perorata da Seghezzi è questa: la ricerca scientifica di punta, più la cultura manageriale molto specifica di un settore caratterizzato da perdite finanziarie iniziali pesanti e durature per le imprese, più l’innesto di 'fondi intelligenti', senza mai dimenticare l’etica.

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