sabato 2 aprile 2016
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L’economia dell’Africa Subsahariana continua ad essere fortemente vulnerabile nonostante le ottime performance, in termini di crescita, da parte di numerosi Paesi del continente. In effetti, lo scenario è molto complesso e merita un’attenta disamina. Anzitutto occorre rilevare che l’Africa non è affatto estranea agli effetti devastanti della finanza speculativa. Nel passato si è sempre pensato che i mali del continente (in particolare dell’Africa Subsahariana) fossero causati dalla debolezza dei processi produttivi, dei consumi e dei movimenti in rapporto alla domanda e all’offerta sul mercato delle commodity (fonti energetiche, minerali e prodotti agricoli). Questo è certamente vero, anche oggi, perché dai prezzi delle materie prime dipende il destino dei governi. Ad esempio, il crollo del prezzo del petrolio sta penalizzando i paesi produttori e potrebbe fomentare il malcontento tra i ceti meno abbienti, determinando nuove aree di tensione e di crisi a livello regionale e continentale, con un incremento del fenomeno migratorio. A questo proposito emblematici sono i casi dell’Angola, del Sudafrica e della Nigeria che stanno subendo enormi perdite economiche a seguito del crollo dei prezzi. Un fenomeno che ha un impatto negativo sull’andamento dell’economia reale, quella, per così dire, della domanda e del-l’offerta. L’alto indebitamento delle imprese nel settore delle commodity (africane e straniere), del petrolio in particolare, ha fatto sì che queste aziende attingessero largamente le loro risorse finan- ziarie sia dal settore bancario che sul mercato obbligazionario. Sta di fatto che essendo i titoli azionari e obbligazionari delle imprese petrolifere collegati al prezzo dell’oro nero, i loro valori di mercato ne stanno risentendo fortemente. Come se non bastasse, per rispondere alla mancanza di liquidità queste aziende hanno aumentato la produzione con l’intento di mantenere un flusso di cassa attivo, ma in alcuni casi sono state costrette a una riduzione degli investimenti o addirittura alla dismissione di una parte del patrimonio aziendale. Ciò ha naturalmente determinato un calo degli introiti da parte dei governi locali. Dulcis in fundo – e questa è la cosa davvero più grave – in fase di caduta del prezzo, la speculazione gioca al ribasso. Questo, in sostanza, significa che si vende sulla carta prodotti finanziari legati al petrolio, i 'future', a 100 per ricomprarli il giorno dopo a 90. Il contrario di quanto succedeva nei periodi di crescita del prezzo. Naturalmente, il ragionamento potrebbe essere esteso ad altri ambiti del mercato africano, come quello agricolo, ostaggio delle compagnie di agrobusiness. Infatti, nel passato, prima della crisi, gli speculatori finanziari contavano per il 12% di tutti i contratti stipulati sui mercati delle commodity, in primis quello di Chicago Mercantile Exchange, mentre il resto era trattato dagli operatori di mercato ancora legati allo scambio fisico delle merci. Oggi, invece, il rapporto si è completamente rovesciato. Gli speculatori, infatti, contano per il 70%, mentre il resto è trattato da operatori veri. Il dato più inquietante riguarda la crescita del cosiddetto debito aggregato africano, vale a dire quello dei governi, delle imprese e delle famiglie, stimato attorno ai 150 miliardi di dollari. Infatti, nel corso degli ultimi dieci anni si è passati dai cosiddetti creditori ufficiali (come i governi, il Fmi, la Banca Mondiale e la Banca Africana per lo Sviluppo) alle fonti private di credito (banche, fondi di investimento, fondi di private equity) e al libero mercato. Si tratta, in sostanza , di una finanziarizzazione del debito che ha segnato il passaggio dai tradizionali prestiti e da altre forme sperimentate di assistenza finanziaria alle obbligazioni, sia pubbliche che private, da piazzare sui mercati aperti. Si tenga presente che le suddette obbligazioni sono in valuta estera, quasi sempre in dollari, e quindi sottoposte ai movimenti sui cambi monetari, sempre a discapito delle monete nazionali africane. Ciò sta generando un circolo vizioso che potrebbe compromettere seriamente lo sviluppo futuro dell’Africa.). © RIPRODUZIONE RISERVATA
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