venerdì 25 novembre 2016
Nell’ospedale La Mascota di Managua un gruppo di medici italiani conduce un progetto per migliorare la diagnostica e i servizi di urgenza-emergenza.
Obiettivo salute: ridurre la mortalità di mamme e bambini
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Tra i 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030, che compongono l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite, il goal numero 3 (assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età) è certamente uno dei più difficili da conseguire. Un obiettivo che dovrà impegnare i governi locali, la comunità internazionale e l’industria farmaceutica (con l’attività di ricerca, produzione e commercializzazione dei farmaci) a unire le forze e le volontà pere tentare di debellare croniche e annose emergenze planetarie. Il goal 3 presenta una nutrita serie di specifici (si fa per dire, vista l’ampiezza e l’imponenza delle relative problematiche) sotto-obiettivi. Ma quali? Riguardo soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, si punta a ridurre il tasso di mortalità sia materna sia neonatale e, almeno di un terzo, la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e la cura, promuovendo la salute mentale e il benessere. A falciare moltissime vite ci sono poi pesanti epidemie di Aids, tubercolosi, malaria e malattie tropicali, nonché l’epatite e le malattie legate all’uso dell’acqua laddove l’accesso è problematico, se non proibitivo. Tra i sotto-obiettivi dell’Onu c’è quindi la lotta alle conseguenze dell’uso di stupefacenti, alcool e tabacco. Ed è di fondamentale importanza sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i Pvs, favorendo l’accesso a prezzi accessibili. E viene qui citata la Dichiarazione di Doha sul Trade Related Aspects of Intellectual Properties Rights perché il costo dei farmaci non sia tale da impedire di fatto la tutela della salute pubblica nei Paesi più poveri. Correlato a questo, vi è inoltre l’obiettivo di conseguire una copertura sanitaria universale aumentando, in particolare, il finanziamento della sanità e il reclutamento, lo sviluppo, la formazione e il mantenimento del personale sanitario soprattutto nei Pvs. Ma intanto nuove pandemie minacciano la salute pubblica anche nei Paesi ricchi, dall’obesità (anche infantile) al diabete, dallo scompenso cardiaco alle patologie respiratorie causate da inquinamento e smog.


IL PROGETTO IN NICARAGUA

In cinque anni, nell’ospedale per bambini Manuel de Jesus Riveira-La Mascota di Managua grazie al progetto della Sip (Società Italiana di Pediatria, www.sip.it) sono stati assistiti oltre 7mila piccoli pazienti. Ma l’iniziativa, avviata nel 2011 per migliorare la qualità dell’urgenza-emergenza pediatrica in tutto il Nicaragua, ha avuto come obiettivo soprattutto la creazione di una rete tra il centro specializzato presente nella capitale, l’unico del Paese (270 letti, quindici reparti, quattro sale operatorie, più pronto soccorso e terapia intensiva), e le strutture sanitarie periferiche. Il bacino d’utenza, che coincide con l’intero territorio nazionale, è di circa due milioni di bambini di età inferiore ai 14 anni (con una mortalità infantile che supera di poco il 3%).
La Sip ha prima di tutto fornito attrezzature per eseguire esami diagnostici e di monitoraggio, quindi ha sviluppato quindici diverse linee guida per la cura delle principali patologie e infine ha creato un sistema informatico che collega i vari ospedali, distanti anche 400 chilometri tra loro. Adesso anche la più piccola struttura sanitaria nicaraguense può ottenere in tempo reale consulenze o assistenze pediatriche dai medici che operano alla Mascota. E si sta creando un database specifico per la registrazione della casistica e la valutazione dei risultati clinici. Non esistono ancora, però, informazioni precise sulla riduzione dell’impatto della mortalità infantile nel Paese del Centro America. È ancora troppo presto, dunque, per tracciare un bilancio di questa iniziativa umanitaria.
«La situazione esistente prima del nostro arrivo – commenta Liviana Da Dalt, direttore del Pronto soccorso pediatrico e del reparto di Pediatria d’urgenza dell’ospedale di Padova – era disastrosa: tra i vari centri operanti sul territorio non esisteva comunicazione, cooperazione e collaborazione. Inoltre in queste strutture – prosegue – spesso mancano risorse e macchinari adeguati per affrontare le varie emergenze: i giovani pazienti muoiono dopo poche ore dal loro arrivo nella capitale. Troppo spesso infatti la loro identità si perde nelle nebbie dei centri di “accoglienza” e di smistamento e inoltre molti sfuggono o evadono dai centri in cerca di fortuna, spariscono, spesso senza lasciare alcuna traccia». Fare rete, favorire sinergie tra pubblico e privato, coinvolgere enti di ricerca e formazione: ecco gli altri obiettivi del progetto della Sip che vanno raggiunti entro breve tempo.

LA SITUAZIONE NEL MONDO

Ma rimane ancora assai grave la situazione della mortalità infantile nel mondo. «Oggi ben 16 mila bambini muoiono ogni giorno prima del quinto compleanno per cause che potrebbero essere evitate» ricorda Giovanni Corsello, il presidente della Società italiana di pediatria (in carica fino al primo dicembre quando gli succederà Alberto Villani). Corsello mette in evidenza un bersaglio mancato da governi e istituzioni: l’obiettivo n. 4 per lo Sviluppo del millennio delle Nazioni Unite. «Non è stato possibile – fa notare il numero uno della Sip – ridurre di due terzi la mortalità infantile entro il 2015. È vero che dal 1990 ad oggi è stata dimezzata passando da 12,7 milioni a 5,9 milioni. Una riduzione epocale, ma non ancora sufficiente». E la sfida più impegnativa, spiega, «rimane la mortalità neonatale, con il 45% dei decessi tra 0 e 5 anni che si concentra nei primi 28 giorni di vita». Prematurità, polmonite, complicazioni durante il travaglio e il parto, diarrea, sepsi, malaria sono le cause principali della mortalità infantile. Ed è vero anche che «quasi la metà di tutti i decessi sono in qualche modo associati a uno stato di malnutrizione». Gli Stati che dispongono di risorse limitate hanno bisogno di supporto e iniziative concrete in ambito sanitario. Secondo gli esperti, rappresentano misure urgenti, per esempio, l’edificazione di nuove strutture specialistiche attrezzate, la fornitura di farmaci e vaccini, la dotazione di personale sanitario esperto e con competenze cliniche moderne e aggiornate. E poi bisogna istruire gli operatori sanitari e migliorare le capacità di quelle popolazioni di affrontare le emergenze sanitarie più acute (anche per evitare che diventino croniche). E inoltre devono essere promossi percorsi integrati e condivisi di formazione sul campo, con spostamenti di personale nelle due direzioni in tempi e momenti diversi in rapporto alle tipologie professionali e alle realtà locali.
Non va dimenticato, infine, il fenomeno dei minori migranti non accompagnati. Un dramma, lo definiscono i camici bianchi dei bimbi, «di cui non conosciamo bene i numeri reali». Un’emergenza che, peraltro, non sembra arrestarsi, essendo strettamente legata ai continui flussi migratori che dall’Africa e dal Medio Oriente si concentrano soprattutto, con cadenza quasi quotidiana, nel bacino del Mediterraneo.

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