mercoledì 29 giugno 2016
A fine 2015 i crediti vantati dalle aziende nei confronti della amministrazioni ammontavano a 65 miliardi di euro.
La rabbia degli artigiani: lo "spread" sono le tasse

ANSA

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Le tasse che restano troppo alte, gli adempimenti burocratici eccessivi, la semplificazione della Pa ancora senza effetti concreti. Dagli artigiani italiani arriva una tirata d’orecchie al governo. E più in generale a tutti gli enti pubblici, che continuano a essere dei cattivi pagatori: a fine 2015 i crediti vantati dalle aziende nei confronti della amministrazioni ammontavano a 65 miliardi di euro. L’assemblea della Confartigianato ha festeggiato ieri i 70 anni di storia dell’associazione, che conta un milione e mezzo di associati, rimettendo al centro del dibattito pubblico la questione fiscale. All’assise erano presenti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la presidente della Camera Laura Boldrini e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Le misure già adottate dall’esecutivo per attenuare il carico sulle imprese «sono positive ma non bastano», secondo il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti: «Lo spread fiscale tra Italia e Ue – ha sottolineato – è sempre troppo elevato: 28 miliardi nel 2015. In pratica, gli italiani pagano 461 euro di tasse a testa in più l’anno rispetto alla media europea». Così il total tax rate, cioè la somma di tutte le imposte e tasse pagate dall’impresa al lordo dei profitti, «è pari al 64,8%, il più alto in Europa». Sul fronte del lavoro, ha aggiunto il presidente, «abbiamo apprezzato il Jobs Act» ma «non possiamo non rimarcare il profondo gap che ci divide dai maggiori Paesi industrializzati: in Italia il cuneo fiscale sul lavoro dipendente arriva al 49% e supera di 13 punti la media Ocse. Con queste percentuali è davvero difficile rimettere in moto l’occupazione».Merletti si attende pertanto che «nella prossima legge di stabilità siano attuate quelle misure di semplificazione e riduzione degli oneri previste nella delega fiscale e finora rimaste inattuate», altrimenti «ancora una volta avremo perso l’occasione per imprimere una svolta alla politica fiscale italiana e per sostenere davvero il rilancio delle piccole imprese». Il numero uno degli artigiani chiede fatti concreti non slogan, ammonendo a «non nominare il nome delle Pmi invano», una «tecnica di marketing per compiacere gli imprenditori». Tra le richieste anche quella di ripensare gli studi di settore: il governo «si è impegnato a revisionarli per semplificarli e renderli più efficaci e attendibili», è l’occasione giusta, ha aggiunto per «farli tornare da armi di accertamento automatico a strumenti per rafforzare la compliance».Il Fisco poi pesa troppo anche dal punto di vista delle adempimenti: «Per l’86% degli imprenditori resta la complessità delle procedure amministrative. Solo per gestire gli adempimenti fiscali servono 269 ore l’anno, 92 ore in più rispetto alla media dei Paesi Ocse», ha sottolineato ancora Merletti. Sul cuneo fiscale il ministro Poletti ha riconosciuto il problema: «È evidente uno sbilanciamento tra il costo e il salario dei lavoratori. È il carico dei costi dell’inefficienza di questo Paese. Stiamo lavorando», ha assicurato.
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