venerdì 27 maggio 2016
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Ci sono due livelli di lettura per la prima assemblea della nuova Confindustria targata Vincenzo Boccia, già partita con la zavorra della disunione confermata dal voto della vigilia. Il primo e più evidente è politico: è netto il sostegno dato al governo Renzi sulle riforme costituzionali. Un segnale che può stupire taluni per la provenienza (una confederazione del mondo produttivo), ma che rappresenta una conferma della linea già intrapresa dal predecessore Squinzi: una Confindustria equidistante dai partiti, ma non dalla politica, vista come il campo d’azione prioritario per le scelte necessarie a imprimere una svolta al Paese, al di là del 'colore politico' di turno. Il secondo è quello più economico e rappresenta un’inversione di un 'credo' fortemente radicato nel nostro tessuto produttivo, tarato su un 95% circa di Pmi: «Piccolo non è bello in sé», ha scandito l’imprenditore salernitano (che dal mondo delle piccole imprese proviene), poi però si deve diventare «grandi» perché «crescere deve diventare la nostra ossessione». Dietro questi messaggi più evidenti, sostenuti da Boccia con argomenti convincenti, ci si poteva forse attendere dal neopresidente un pizzico di innovazione in più nelle ricette necessarie per tradurre sul piano operativo le linee programmatiche. Il cardine della sua relazione è stato lo scambio fra la produttività e «salari più alti». Intenzione sicuramente lodevole, valutando sia le difficoltà di bilancio di tante famiglie sia il fatto che la media degli stipendi nelle imprese estere più 'evolute' è già oggi più elevata dei livelli italiani. Ma che fosse questa la strada da intraprendere l’aveva indicato già la Banca d’Italia, a fine anni Novanta. Viale dell’Astronomia rimarca la produttività del lavoro, ma si guarda dal ricordare con pari forza che ormai da molti anni nella teoria economica della crescita si parla di Total factor productivity, abbinando cioè al 'fattoreoccupazione' anche quelli del capitale e della capacità organizzativa delle aziende. Sui canali di collegamento fra le industrie tricolori e Piazza Affari qualche nuovo strumento è stato messo in campo, ma si può fare di più e di meglio. E i progressi su un solo fattore rischierebbero di essere vani se sganciati da migliorie sugli altri piani. Né particolarmente nuova, anche se condivisibile, è l’ipotesi di spostare la tassazione dal lavoro ai consumi (leggi Iva). Un’operazione questa che, pur fattibile in un’era di deflazione, va accompagnata da misure per le fasce di reddito più basse, a rischio altrimenti di forti conseguenze. Quanto alla riforma dei contratti, tema segnato finora dal fallimento nei rapporti coi sindacati, la linea tracciata da Boccia sembra chiara: attendere i rinnovi in corso, quindi far 'spianare la strada' a Federmeccanica (se ci riuscirà) per segnare alcuni punti fermi da estendere poi a livello generale. Positivo ma un po’ generico è il richiamo alla lotta all’illegalità (e l’ambiente, visto - a quanto pare - più in chiave di «opportunità» economica che di impegno quotidiano per la sua tutela?). Boccia ha parlato anche di «assunzione di responsabilità» da parte delle imprese. Ma su questo non a caso ha insistito anche il titolare dello Sviluppo economico, Carlo Calenda (intervenuto all’assemblea con Dario Franceschini, per dar spessore a quel binomio «industria-cultura» su cui governo e Confindustria vogliono puntare). Un politico, Calenda, che ben conosce il mondo delle imprese, per essere stato uno dei maggiori collaboratori di Montezemolo nella presidenza 2004/08. È stato lui a dire che in questi anni abbiamo avuto «più fondi per start up che start up nate sul serio». E a sottolineare che il rilancio dell’economia non può partire da «circoli illuminati chiusi nelle stanze di un ministero», che allo stesso tempo è una tentazione coltivata dalla politica e una tendenza parassitaria di taluni industriali. Per questo Calenda ha annunciato una riorganizzazione «manageriale» del suo dicastero. Una scelta benvenuta, che ora speriamo attui col piglio già mostrato in altre occasioni. Il giorno dei debutti, insomma, è atteso alla prova dei fatti. Dalla nuova Confindustria è lecito aspettarsi un supplemento di coraggio. Lo stesso mostrato a esempio nell’ampio passaggio dedicato da Boccia ai migranti e all’approccio «inclusivo» da avere nei loro confronti. Saper affrontare le sfide è caratteristica di ogni vero imprenditore. L’associazione che vuol rappresentarli non può essere da meno.
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