sabato 4 settembre 2010
La recessione ha evidenziato le lacune nella responsabilità sociale di molte imprese. E ha fatto crescere il mercato di chi investe per stimolarle sui valori. Negli ultimi tre anni gli investimenti «socialmente responsabili» hanno dato risultati positivi, battendo gli indici tradizionali.
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Tre anni di crisi, appena compiuti, hanno evidenziato un vasto e profondo bisogno di etica in economia e soprattutto nella grande finanza internazionale, accusata di aver scatenato la peggior recessione dal Dopoguerra. Ma, come spesso accade, proprio la crisi sembra aver segnato una svolta nell’avanzata di quel modo d’intendere la finanza che fa del richiamo a precisi principi e valori una ragione d’esistere.È la finanza socialmente responsabile o Sri (socially responsible investment), indicata pure come finanza sostenibile o Esg (environmental, social and governance), dal nome delle dimensioni che essa valuta (ambientale, sociale e di governance), più conosciuta in Italia come finanza etica. Che non guarda solo alle performance economiche delle società quotate in Borsa ma anche alle conseguenze della loro attività sull’ambiente e sulla società.Per capire se in questi anni indici e fondi etici hanno retto, e se i venti di crisi hanno effettivamente contribuito a spargere i semi della responsabilità sociale, è bene partire dai numeri. L’agenzia di rating Morningstar ha calcolato che se un risparmiatore cinque anni fa avesse investito 10mila euro sull’indice etico Dow Jones Sustainability World, il più importante al mondo, oggi avrebbe 10.220 euro. Investendoli nell’indice tradizionale Msci World Index, disporrebbe invece di soli 8.830 euro. Un’analisi del Social investment Forum, che rappresenta gli investitori Sri negli Usa, ha rilevato che il 65% dei fondi etici statunitensi nel 2009 ha fatto meglio del proprio benchmark (indice di confronto) e la maggioranza ha sovraperformato il benchmark anche nei tre e dieci anni precedenti. Per restare in Italia, alcuni dei fondi etici di Etica sgr hanno da poco ottenuto un riconoscimento come migliori fondi a tre anni nella propria categoria e uno di essi ha battuto il benchmark di oltre il 6%.Ma c’è di più. Da una ricerca dell’Università di Roma Tor Vergata è emerso che il giorno del fallimento di Lehman Brothers (15 settembre 2008), uno dei più neri che i mercati finanziari ricordino, mentre l’indice S&P500 chiudeva a -1,70%, l’indice etico Dsi400 segnava +1,20%. E uno studio di Ecpi, società di consulenza e analisi sulla sostenibilità, dice che l’analisi con criteri Esg è stata in grado di prevenire il 70% dei grandi fallimenti di società quotate degli ultimi anni. Cosa significa? Che investire in questo modo permette di individuare, oltretutto con anticipo, quei fattori di rischio che l’analisi tradizionale non può cogliere, mettendo quindi più al riparo chi investe. E che aziende con performance di sostenibilità migliori hanno più probabilità di riuscire a fronteggiare fasi negative.Che la finanza etica sia cresciuta con la crisi si evince anche dall’incremento nell’ammontare dei patrimoni (asset) gestiti con criteri Sri . E anche dall’aumento del numero di indici etici che "tracciano" le aziende più sostenibili: è il caso di Ecpi, che lancerà con Csi (China Securities index) indici sostenibili sul mercato cinese, o dell’indice cristiano Stoxx Europe Christian index, varato pochi mesi fa, mentre in Asia è arrivato l’Asian sustainability rating.La vera partita, tuttavia, più che sui rendimenti, sul numero di fondi etici o sulla crescita degli asset, si gioca sull’integrazione dell’analisi Esg nella finanza tradizionale o mainstreaming. Cioè sul fatto che l’utilizzo di criteri sociali e ambientali diventi, un domani, pratica comune fra gli operatori finanziari.L’agenzia d’informazione finanziaria Bloomberg ha indicato l’offerta di dati e informazioni Esg fra le sue priorità strategiche. Forse quel domani non è poi così lontano.
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