venerdì 22 settembre 2017
Il sociologo Ambrosini: il motore della ripresa sono le donne straniere, indispensabili per consentire alle italiane di lavorare
«La crisi finirà quando una filippina sarà capoufficio»
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L’integrazione sarà completa - e a quel punto sarà scesa anche la disoccupazione - quando la filippina che adesso strofina il pavimento di casa dirigerà l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Maurizio Ambrosini è d’accordo con la Bce: i migranti e le donne sono un fattore di ripresa, ma «persino il settore pubblico, generalmente più equo, non riesce ancora a in Italia a svolgere un ruolo di promozione professionale degli immigrati».

Il sociologo dell’Università degli Studi di Milano ha appena pubblicato 'Migrazioni' (Egea), un testo divulgativo che decodifica uno dei fenomeni più divisivi del nostro tempo, secondo solo alla mancanza di posti di lavoro, e per Il Mulino 'Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali' e 'Sociologia delle migrazioni'.

È sorpreso dall’analisi della Bce?
Per nulla, visto che l’occupazione regolare degli immigrati ha continuato ad aumentare durante la crisi, anche se non si diceva mai, perché imbarazzava ammetterlo.

Chi era imbarazzato?
Chi avrebbe dovuto ammettere che gli italiani non occupavano quei posti di lavoro. Sarà un caso, ma nei rapporti del Ministero del lavoro i dati sull’occupazione degli stranieri dovevi andarteli a cercare, non erano mai messi in evidenza, anche se nel 2007, cioè ante crisi, gli stranieri erano il 6,3% della popolazione occupata e adesso sono il 10,5, cioè quasi un milione in più in più, su 2,4 milioni di immigrati con un’occupazione regolare.

Una sorpresa?

Per molti lo è stata. Obiettivamente, nessuno l’aveva previsto, quando l’Italia ha cominciato ad attrarre colf e braccianti, ormai trent’anni fa. Solo recentemente si è capito cosa stava succedendo e che non era negativo, perché i migranti che lavorano producono ricchezza, tasse, contributi, consumi...

La Bce sostiene che il motore della ripresa sono loro. Loro e le donne.

Soprattutto le donne straniere. Quasi la metà dell’occupazione straniera è donna (44,5%) ed è aumentata con la sanatoria Maroni del 2009. Senza di loro le nostre donne adulte non potrebbero lavorare, produrre reddito (che in parte versano alle collaboratrici domestiche) e crescere professionalmente. Senza le colf e assistenti familiari degli anziani straniere molte italiane sarebbero state espulse dal mercato del lavoro o non avrebbero potuto entrarvi.

In altre parole, il lavoro immigrato deriva dalla redistribuzione del reddito dei lavoratori italiani?
E segue questi ultimi. Se sovrapponiamo la cartina del lavoro straniero e quella dello sviluppo nazionale coincidono: i migranti vanno a lavorare dove gli italiani trovano lavoro, sono due popolazioni che crescono o periscono insieme.

Perché le colf sono così spesso filippine?
Perché nei mercati del lavoro poco regolati, come il nostro o quello nordamericano, lo straniero deve affidarsi alle reti dei connazionali e seguire le orme di chi lo ha preceduto e ha occupato una nicchia, a prezzo di durissimi sacrifici. Le filippine sono colf, i rumeni muratori, i sikh mungitori e così via. Nei Paesi del Nord la situazione è più variegata. In Spagna come in Italia ci sono maggiori tassi di occupazione degli stranieri ma uno schiacciamento verso le mansioni più basse.

Gli immigrati trainano la ripresa perché costano meno?

Dove le regole funzionano, no. Ci sono ingiustizie ovunque, ma gli immigrati sono sempre più sindacalizzati e tendenzialmente non costano meno di un pari livello italiano.

Vale anche in agricoltura?
Anche laddove ci sono le peggiori ingiustizie, sì. Prendiamo il Trentino, dove ci sono regole e controlli: forse ci sono margini di miglioramento anche lì, ma sicuramente non esiste una Rosarno.

Oltre agli stranieri, la Bce crede nelle donne. Perché sono un forte
fattore di ripresa?
Perché studiano di più e da anni hanno preso il posto dei colletti bianchi maschi, anche se il loro problema è la carriera, spesso rallentata, anche nel settore pubblico che è più egualitario di quello privato per via della maggiore trasparenza e dei vincoli di legge.

Un pregiudizio maschilista e xenofobo rallenta lo sviluppo del settore privato?
È così. Il settore privato deve farsi un esame di coscienza per come utilizza lavoratori stranieri e lavoratrici autoctone e immigrate. Storicamente, la pubblica amministrazione produce buon lavoro e mobilità sociale per i gruppi svantaggiati. Per le donne italiane sta già succedendo lo stesso, cioè il settore pubblico precede quello privato nel creare più lavoro per queste categorie che hanno una marcia in più, preziosissima quando il sistema deve riprendere a girare.

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