venerdì 18 ottobre 2019
Nel nostro Paese la questione decisiva non è tanto il livello di retribuzione, quanto avere uno stipendio
In Italia i salari più bassi tra i Paesi avanzati
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Il 93% dei lavoratori del settore privato percepisce una retribuzione globale annua inferiore a 40mila euro lordi. Questo vuol dire che fra un ceo e un operaio c'è un multiplo retributivo di 9,6 volte. Emerge da uno studio dell'Osservatorio Jobpricing sulle retribuzioni. La disuguaglianza retributiva, inoltre, è maggiore nei Paesi a basso reddito piuttosto che in quelli ad alto reddito. L'Italia si colloca al 14esimo posto nel ranking generale, tuttavia dal 1985 al 2014 l'indice di disuguaglianza è cresciuto del 21% e la quota dei lavoratori con retribuzione inferiore al 40% della media nazionale è passata dal 17,9% al 22,1%, mentre quella con retribuzione pari ad almeno cinque volte la mediana è più che raddoppiata (passando dallo 0,34% al 0,89%). Disuguaglianze che si sono probabilmente generate sia, negli anni Ottanta e Novanta, con lo smantellamento della scala mobile e la concessione di maggiori differenziazioni tra i minimi salariali contrattati ai vari livelli d'inquadramento dei contratti collettivi di lavoro, sia dal Duemila in poi, in cui le differenze agli estremi della curva di distribuzione si sono fortemente ampliate.

A livello geografico, in Italia a si registrano livelli di occupazione e retribuzioni molto differenti. Negli ultimi dieci anni il numero di occupati è cresciuto del +2,3% nel Nord e Centro mentre è calato del -4% al Mezzogiorno. Il tasso di occupazione è del 66,1% al Centro-Nord e fermo al 44,5% a Sud. Fra Nord e Sud il gap retributivo è del 15%. Il divario tra il salario medio (a parità di potere di acquisto) dei Paesi emergenti e quello dei Paese avanzati si sta riducendo. Negli ultimi 20 anni i Paesi emergenti hanno triplicato i salari reali, mentre quelli avanzati non hanno raggiunto una crescita del 10%.


«Sembra abbastanza chiaro (i dati dell'Organizzazione mondiale del lavoro lo confermano) che salari e produttività siano fortemente correlati e il nostro Paese non fa eccezione - spiega lo studio -. In Italia a un contesto di produttività stagnante (+0,4% dal 1995 al 2017 contro + 1,6% Ue a 28 e +1,3% Ue a 15) seguono retribuzioni che sono più basse rispetto alle cinque maggiori economie Ue e significativamente al di sotto della media Ocse. Prendendo gli ultimi 15 anni, la Germania ha registrato un aumento della produttività e delle retribuzioni rispettivamente del 20% e 15%, mentre in Italia ad una produttività piatta corrisponde un aumento delle retribuzioni inferiore al 5%».

In Italia, il problema è «figlio della struttura produttiva del nostro Paese», affermano gli autori dello studio aggiungendo: «I livelli della produttività di imprese grandi e medio-grandi sono in linea o addirittura superiori a quelli dei degli altri Stati europei, ma questo non basta a colmare la scarsa produttività delle imprese sotto i 50 dipendenti, che costituiscono il 98% del totale delle imprese». E ancora: «La dinamica salariale delle imprese italiane è migliore per le imprese con livelli di produttività più alti, che rispetto alla media italiana, è del -22% per il Mezzogiorno e del +12% nel NordOvest».

Da considerare inoltre che «diversamente da quanto si sostiene - prosegue lo studio Jobpricing - in Italia il costo del lavoro è in linea o inferiore a quello dei nostri "concorrenti" diretti nella Ue e con dinamiche di crescita spesso inferiori negli ultimi dieci anni. Il cuneo fiscale (47,7%) è simile a quello di Francia (47,6%) e
Germania (49,7%) come evidenziato dall'Oecd (Taxing Wages 2018). Piuttosto, è la composizione
dell'imposizione fiscale e contributiva che sembra gravare in modo eccessivo sul lavoro».

Per chi in Italia è giovane (meno di 35 anni) la questione decisiva non è tanto il livello di retribuzione, quanto avere uno stipendio. I lavoratori sono sempre più anziani e la componente giovanile è inferiore a dieci anni fa. La quota di occupati a tempo indeterminato tra i 15 e i 34 anni nel 2018 è stata del 22%. Tra il 1983 e il 2015 il valore dei salari medi annuali dei giovani tra i 15 e 29 anni rispetto a quello degli over 50 è passato dal 70% al 50% e il salario d'ingresso è diminuito nello stesso periodo di circa il 20%.

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