venerdì 16 luglio 2010
La recessione ha impoverito il Paese, ma il numero di persone in stato di difficoltà è rimasto sostanzialmente stabile. La povertà assoluta un problema per 3 milioni e 740mila italiani. Cassa integrazione e famiglia hanno ammortizzato la crisi. Più a rischio giovani e operai.
- Urgente rafforzare la famiglia ammortizzatore essenziale di A. Rosina
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Nonostante la recessione, nell’anno passato la povertà in Italia è rimasta sostanzialmente stabile, ma solo perché a mitigare gli effetti della crisi ci sono state, secondo l’Istat che ieri ha diffuso i dati relativi al 2009, la famiglia e la cassa integrazione: padri e madri hanno sostenuto i giovani  che in grande percentuale hanno perso il lavoro per la grave situazione economica, mentre la Cig ha protetto dalla perdita del lavoro i genitori, largamente maggioritari tra i cassaintegrati. La povertà resta comunque una insostenibile condizione per 2milioni e 657mila famiglie, che rappresentano il 10,8% del totale, equivalenti a 7milioni e 810mila individui, ovvero il 13,1% dell’intera popolazione residente nel nostro Paese.Ma se in generale l’indigenza colpisce circa un nucleo su dieci, i ricercatori di Via Balbo precisano che questa percentuale sale, anche di molto, prendendo in considerazione altre variabili, come la zona geografica di residenza, la condizione lavorativa o la composizione familiare. Sale infatti al 22,7% delle famiglie la povertà nel Mezzogiorno, arriva al 26,7% tra i nuclei il cui capo è disoccupato e cresce fino al 24,9% tra le famiglie con cinque o più componenti. Questi sono dati che si riferiscono alla povertà relativa, che si calcola tracciando prima di tutto la linea che la delimita: per una famiglia composta da due persone, la soglia di povertà è pari alla spesa media mensile per individuo (983 euro nel 2009, 17 euro in meno sul 2008). Sono pertanto povere tutte le famiglie di due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore.Ma tra le famiglie indigenti, alcune lo sono in maniera assoluta. Vivono in stato di indigenza acuta, ancora secondo l’Istat, 3milioni e 74mila individui (il 5,2% della popolazione) per un totale di 1milione e 162mila famiglie (il 4,7% del totale), ovvero tutte quelle che non sono in grado di sostenere neanche una spesa mensile minima necessaria ad acquisire beni e servizi essenziali per una vita accettabile.Ma vediamo il dettaglio dei dati relativi alle situazioni di maggiore disagio. In tutte le regioni del Meridione la povertà è significativamente più diffusa rispetto al resto del Paese, con punte in Campania, Basilicata (ambedue 25,1%) e Calabria (27,4%), mentre il fenomeno è decisamente inferiore in Emilia Romagna che registra la più bassa incidenza di povertà (4,1%), Lombardia, Veneto e Liguria, tutte con valori inferiori al 5%. Nel Mezzogiorno, poi, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno. Nell’area l’"intensità", che indica in termini percentuali di quanto la spesa media mensile delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di povertà, è infatti pari al 22,5% contro il 20,8% nazionale e il 17,5% del Nord. Un quarto delle famiglie con cinque o più componenti (24,9%) come accennato risulta in condizione di povertà relativa e l’incidenza raggiunge il 37,1% per le famiglie residenti nel Mezzogiorno. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e con membri aggregati (in genere nonni o anziani parenti). Se all’interno della famiglia sono presenti più figli minori, il disagio economico aumenta: l’incidenza di povertà, pari al 15,2% tra le coppie con due figli tocca il 24,9% tra quelle con almeno tre e sale ulteriormente se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente diffuso nel Mezzogiorno, dove oltre un terzo (il 36,7%) delle famiglie con tre o più figli minori è povero.La difficoltà a trovare un’occupazione, infine, determina livelli di povertà decisamente più elevati: è infatti povero il 26,7% delle famiglie con a capo una persona disoccupata. La diffusione della povertà tra le famiglie con alla testa un operaio (14,9%), inoltre, è decisamente superiore all’incidenza osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi (6,2%) e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti (2,7%).
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