martedì 17 luglio 2012
​L'11,1% delle famiglie italiane, pari a 2 milioni 782mila nuclei, è povero in termini relativi. Un dato che coinvolge oltre otto milioni di persone, cioè il 13,6% della popolazione. Penalizzati Sud, bassi titoli di studio e nuclei con figli minorenni.
È tempo di capire e di agire di Francesco Riccardi 
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La crisi non fa sconti: l'11,1% delle famiglie italiane (per un totale di oltre otto milioni di persone) è relativamente povero, il 5,2% delle famiglie lo è in termini assoluti. È quanto emerge dall'ultimo rapporto Istat sulla povertà nel nostro Paese, relativo al 2011. La povertà, sia assoluta sia relativa, è stabile ma deriva da un peggioramento della povertà relativa per lefamiglie in cui non ci sono redditi da lavoro e in cui vi sono operai. In particolare, l'incidenza della povertà relativa aumenta dal 40,2 al 50,7% per le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro e dall'8,3% al 9,6% per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro, per lo più anziani soli o in coppia. La povertà assoluta cresce (dall'8,5% al 16,5%) tra le famiglie in cui non ci sono redditi da lavoro e almeno un componente è alla ricerca di occupazione e tra le famiglie con a capo una persona con profili professionali e titoli di studio bassi.Peggiora anche la condizione delle famiglie con figli minori, in particolare per quelle con un solo figlio, la cui povertà relativa passa dall'11,6 al 13,5% e quella assoluta dal 3,9% al 5,7%. Sono un milione 863mila le famiglie del Mezzogiorno che vivono in condizioni di povertà relativa, pari al 23,3% di tutti i nuclei residenti al Sud: una condizione diffusa soprattutto tra le famiglie più grandi, con tre o più figli piccoli. Al Sud aumenta anche l'intensità delle povertà, passata dal 21,5% del 2010 al 22,3% del 2011.In particolare, dal rapporto emerge che l'incidenza della povertà relativa è diminuita dal 5,3 al 4,4% per le famiglie in cui la persona di riferimento è impiegata o dirigente, mentre è passata dal 15,1% al 15,4% nei nuclei il cui capofamiglia è operaio. E lo stesso vale per la povertà assoluta: diminuita dall'1,4% all'1,3% nelle famiglie di impiegati e dirigenti e cresciuta dal 6,4% al 7,5% in quelle di operai.PESANO I BASSI LIVELLI DI ISTRUZIONEPovertà, bassi livelli di istruzione e altrettanto bassi profili professionali vanno di pari passo. È quanto ribadisce l'ultimo report sulla povertà in Italia dell'Istat. Insieme all'esclusione dal mercato del lavoro,l'istruzione e la formazione professionale sono fattori che si associano al livello di povertà di una famiglia. "Se il livello d'istruzione della persona di riferimento è basso (nessun titolo o licenza elementare) - spiega l'Istat - l'incidenza di povertà è più elevata (18,1%) ed è quasi quattro volte superiore a quella osservata tra le famiglie con a capo una persona che ha conseguito almeno la licenza media superiore (5%). Sale al 27,8% se è alla ricerca di occupazione". Per quanto riguarda la povertà assoluta, invece, risulta "elevata tra le famiglie con persona di riferimento avente al massimo la licenza elementare, per le quali l'incidenza (9,4%) è quasi cinque volte superiore a quella delle famiglie in cui la persona di riferimento possiede almeno un diploma di scuola media superiore (2%)". La difficoltà a trovare un'occupazione o un'occupazione qualificata, inoltre, si associa a livelli di povertà decisamente elevati, spiega l'Istat. "È povero il 27,8% delle famiglie con a capo una persona in cerca di lavoro (il 42,5% nel Mezzogiorno) e il 50,7% delle famiglie in cui non vi sono occupati né ritirati dal lavoro". La diffusione della povertà tra le famiglie con a capo un operaio o assimilato, inoltre, "è decisamente superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti".
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