giovedì 14 marzo 2019
L’industria del welfare familiare è un settore trainante per il sistema Paese: la spesa per servizi degli italiani ammonta a 143,4 miliardi di euro, pari all’8,3% del Pil
Investire sul benessere
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Nel 2018, il costo che gli italiani hanno sostenuto per i servizi di welfare è stato pari a 143,4 miliardi di euro, circa il 7% in più rispetto al 2017. Il welfare delle famiglie alimenta infatti un’industria tra le principali del nostro sistema produttivo, che contribuisce per l’8,3% alla formazione del Pil. Parliamo di un comparto che ha un valore superiore a quello dell’industria assicurativa (139,5 miliardi di raccolta tra ramo danni e vita) e del settore alimentare (137 miliardi di fatturato), e vale circa una volta e mezzo quello della moda (95,7 miliardi) e tre volte e mezzo quello del mobile (41,5 miliardi). Tale industria è in pieno sviluppo ed è destinata a crescere a lungo termine poiché risponde a una domanda generata dal cambiamento sociale e dalla maturità demografica del Paese.

Lo dimostrano i numeri che rivelano una crescente fragilità sociale, soprattutto tra le famiglie in condizioni di debolezza, che colpisce principalmente l’area della salute (37,7 miliardi) in cui emerge un fenomeno di rinuncia che interessa il 40,8% delle famiglie (per il 10,2% si tratta di una rinuncia rilevante). In secondo luogo l’assistenza gli anziani (27,9 miliardi), il cui il lavoro di cura è a carico delle famiglie e dove emerge un sistema di assistenza domiciliare poco qualificato. Da non dimenticare l’istruzione (10,5 miliardi), siamo infatti il Paese europeo con il più alto numero di giovani che non raggiungono la laurea. Queste fragilità sociali, con il conseguente aumento delle spese del welfare famigliare, che oggi è pari al 20% della spesa complessiva di welfare, pubblica e privata, costringono a guardare con occhi nuovi la realtà̀ e le prospettive del sistema di welfare nel nostro paese. Esprimono esigenze che sollecitano tanto le istituzioni pubbliche quanto il mercato dei servizi privati: occorre generare risorse che possono essere incanalate e ottimizzate. Visto in questo modo il welfare familiare è energia positiva.

È questo il messaggio più rilevante che emerge dal II Rapporto sul Bilancio di welfare delle famiglie italiane, presentato alla Camera dei deputati da Mbs Consulting - il principale gruppo italiano indipendente di business consulting, alla presenza dei principali partiti politici, accademici e rappresentanti del mondo delle imprese. Alla base dell’Osservatorio un’indagine che ha scandagliato i bisogni e le spese di welfare delle famiglie per la salute, che ha come obiettivo ricostruire la spesa delle famiglie italiane nelle seguenti otto aree di welfare: salute, assistenza ad anziani e persone bisognose di aiuto, assistenza familiare, assistenza ai bambini ed educazione prescolare, istruzione, cultura e tempo libero, supporti al lavoro, previdenza e protezione.

Il Rapporto quest’anno lega le questioni del welfare italiano al più generale quadro concettuale e politico dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata dall’Onu nel settembre del 2015, sulla quale l’Italia si è impegnata formalmente. Uno sforzo per adottare una visione integrata, in cui la sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale assumono pari rilevanza e per disegnare sistemi di welfare più avanzati.

SPESA DI WELFARE DELLE FAMIGLIE ITALIANE 2018
Sanità - È l’area di spesa più̀ rilevante, con un valore di 37,7 miliardi nel 2018 e una spesa familiare media di 1.476 euro. È anche l’area di spesa in maggiore crescita: +11,9% sul 2017. Spingono in questa direzione fattori eterogenei e contraddittori: da un lato il benessere economico, che induce i segmenti più ricchi ad acquisire prestazioni sanitarie a pagamento, dall’altro le difficoltà del SSN, certamente maggiori nel Sud del paese.

Supporti al lavoro – Le spese per il lavoro – trasporti e pasti - è la seconda area del welfare familiare per volume complessivo: 31,9 miliardi. Nel 2018 questa cifra è aumentata del 2,2%. Le famiglie con lavoratori che hanno sostenuto queste spese sono 16,7 milioni, 65,4% del totale, e la loro spesa media annua è stata di 1.914 euro.

Assistenza agli anziani e alle persone bisognose - È la terza area per dimensione, ma la seconda per crescita: 27,9 miliardi, con un aumento del 10,3%. Questa spesa si distribuisce sull’8% dei nuclei familiari (le famiglie utilizzatrici sono 2,1 milioni) ed è di gran lunga quella più̀ difficilmente sostenibile per l’impatto elevatissimo della spesa individuale: 13.300 euro per famiglia utilizzatrice. In quest’area, a differenza della salute, è molto forte il divario per area geografica: 14.863 euro per famiglia al Nord, 9.657 al Sud.

Istruzione - L’altra area di spesa in forte crescita è l’istruzione: 10,5 miliardi, in incremento del 9,4%. Solamente il 75,3% delle famiglie sono in grado di affrontare con il proprio reddito tutte le spese per l’istruzione, percentuale che si abbassa al 68,5% per le famiglie meno abbienti. Il 13,8% devono intaccare i risparmi e il 10,8% fanno ricorso all’aiuto di familiari e conoscenti.

SPESA MEDIA E INCIDENZA SUL REDDITO
La spesa familiare per il welfare assorbe mediamente il 18,6% del reddito netto delle famiglie, in aumento di 4 punti percentuali rispetto al 2017. A fronte di un reddito annuo medio rilevato di 30.134 euro, le uscite per il welfare sono pari a 5.611 euro per nucleo famigliare. La dimensione della spesa di welfare varia molto in relazione alle condizioni economiche. Il paradosso è che l’incidenza delle spese di welfare in proporzione al reddito è maggiore nelle famiglie economicamente più deboli 22% che nelle famiglie agiate (oscillante tra il 16 e il 18,6%). Ciò non ci stupisce, trattandosi di spese in larga misura incomprimibili. Nondimeno questo dato evidenzia la grande fatica, per famiglie dal reddito medio molto basso, ad accedere a servizi come quelli per la salute e l’istruzione, rispondenti a bisogni fondamentali.

RINUNCIA ALLE PRESTAZIONI ESSENZIALI
I grandi squilibri della struttura del welfare famigliare italiano, nel quale il peso economico di servizi essenziali risulta particolarmente gravoso per le famiglie meno abbienti, determina estesi fenomeni di rinuncia alle prestazioni. Il settore più critico è quello dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, con un tasso medio del 48%. La rinuncia a cure sanitarie è mediamente del 40,8% e sale al 61,5% per la fascia più debole. Con un 17% di rinuncia rilevante e colpisce particolarmente le visite mediche e le cure odontoiatriche. Il 36,7% delle famiglie con figli a scuola o nell’università fanno rinunce a spese per l’istruzione, e per il 15% si tratta di rinunce rilevanti, con una incidenza sul percorso formativo. Le famiglie rinunciano anche a spese per la cultura e il tempo libero: in media il 54,4%. Ciò si deve al fatto che i sistemi pubblici di welfare hanno subito negli ultimi anni una forte riduzione delle capacità di prestazione, come conseguenza del necessario contenimento della spesa pubblica. Il risultato è che molte prestazioni essenziali sono ottenibili solo a pagamento. Gli impatti sociali di questo problema sono pesanti e generalizzati in tutte le aree del welfare.

GLI ATTORI SOCIALI DELL’INDUSTRIA DEL WELFARE
Per rispettare il carattere universalistico e perequativo del sistema di protezione sociale è essenziale mantenere la centralità del welfare pubblico ed anche un livello elevato di spesa sociale. Ma occorre anche dare un ruolo attivo a una serie di attori per natura chiamati a collaborare con l’attore pubblico su questo fronte. Rappresentanze e associazioni di categoria, Terzo settore, servizi finanziari e assicurativi, gestori di piattaforme di welfare sono chiamati a costruire un nuovo ecosistema del welfare, e a dare vita a una nuova “filiera del benessere sociale”. L’attore pubblico - Stato centrale ed Enti Locali – potrà e dovrà in futuro rafforzare il proprio ruolo di “architetto” e regolatore, per garantire le condizioni utili a dare vita a nuove policy integrate pubblico-privato.

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