domenica 29 gennaio 2017
Sempre più realtà cattoliche disinvestono dalle fonti fossili
La campagna per il fossil fuel divestment ha messo radici anche in Italia. A novembre 2015, nell’imminenza della Cop21 che portò all’Accordo di Parigi sul climate change, è stata infatti lanciata la campagna #DivestItaly, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza sul ruolo fondamentale di finanza e investimenti nella lotta ai cambiamenti climatici. Nata dall’impegno di realtà come Power Shift Italia e Italian Climate Network, la campagna ha raccolto l’adesione di una ventina di organizzazioni attive sul fronte della tutela dell’ambiente, della finanza etica e della cooperazione internazionale. Fra le realtà del mondo cattolico che vi hanno aderito, oltre alla Focsiv, figurano l’Ordine dei Missionari Comboniani, Ipsia (la ong delle Acli), e Aggiornamenti Sociali, la rivista dei Gesuiti.

La campagna per il fossil fuel divestment ha messo radici anche in Italia. A novembre 2015, nell’imminenza della Cop21 che portò all’Accordo di Parigi sul climate change, è stata infatti lanciata la campagna #DivestItaly, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza sul ruolo fondamentale di finanza e investimenti nella lotta ai cambiamenti climatici. Nata dall’impegno di realtà come Power Shift Italia e Italian Climate Network, la campagna ha raccolto l’adesione di una ventina di organizzazioni attive sul fronte della tutela dell’ambiente, della finanza etica e della cooperazione internazionale. Fra le realtà del mondo cattolico che vi hanno aderito, oltre alla Focsiv, figurano l’Ordine dei Missionari Comboniani, Ipsia (la ong delle Acli), e Aggiornamenti Sociali, la rivista dei Gesuiti.

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L’era delle fonti fossili di energia si sta chiudendo, la nuova era è delle rinnovabili, siamo in transizione e per accelerare, almeno per scongiurare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici, uno degli strumenti a disposizione è il disinvestimento dalle fossili. Una campagna nata nei campus universitari statunitensi e divenuta rapidamente mondiale, quella del divestment dalle società attive nel carbone, petrolio e gas, in cui una parte crescente del mondo cattolico vede un modo concreto di dare risposta agli appelli della Laudato si’ di Papa Francesco.

Per riflettere su cosa voglia dire fare divestment, imparare dall’esperienza di chi l’ha fatto e valutare come reinvestire in modo sostenibile, venerdì alla Pontificia Università Lateranense (Pul) si è tenuta la conferenza internazionale 'Laudato si’ e investimenti cattolici: energia pulita per la nostra casa comune'. Ad organizzarla, primo evento al mondo di questo genere, un gruppo di realtà internazionali d’ispirazione cattolica: Focsiv, Jpic (Commissione Giustizia e Pace dell’Unione dei Superiori generali e dell’Unione internazionale delle Superiori generali), Movimento cattolico mondiale per il Clima (Gccm), Cafod, Trocaire e Cidse. A oggi alla campagna per il disinvestimento hanno aderito quasi 700 investitori istituzionali, con asset gestiti per 5.200 miliardi di dollari. Le organizzazioni religiose sono state fin dall’inizio uno dei gruppi più numerosi ad aderire. Quelle cattoliche fanno leva proprio sulla Laudato si’ per motivare la loro decisione. «Non si può rimanere indifferenti – ha detto il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, alla guida del nuovo dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale – riguardo al modo con cui sono investiti i nostri soldi, perché investimenti, responsabilità e solidarietà sono connessi». In merito alle fonti fossili, il porporato ha ricordato che le indicazioni della Laudato si’ sono di sostituirle «progressivamente» e «senza indugio » (par. 165).

E ha invitato a guardare ad esempio al settore degli investimenti ad alto impatto sociale (su cui il Vaticano ha già promosso due conferenze internazionali) come a uno di quelli in cui si potrebbero reinvestire le risorse disinvestite dalle fossili. La Santa Sede, ha poi specificato il cardinal Turkson, non elaborerà linee guida sul divestment, ma invita le conferenze episcopali locali a farlo. Linee guide sugli investimenti sostenibili ed etici, che affronteranno anche il tema del divestment, sono ad esempio allo studio da parte della Cei. Sull’urgenza di cambiare rotta ha insistito anche Christiana Figueres, ex-segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: «La magnifica enciclica di Papa Francesco – ha detto – esprime un senso di urgenza che nell’Accordo di Parigi non c’è. Accelerare la transizione è un obiettivo allo stesso tempo necessario, desiderabile e realizzabile: non dimentichiamo che siamo nel terzo anno di fila in cui le emissioni climalteranti non aumentano, nonostante il 2016 sia stato il più caldo della storia».

A chi teme che disinvestendo si penalizzino i rendimenti, ha risposto Mark Campanale, Ceo di Carbon Tracker, non profit londinese che dal 2011 ha evidenziato come larga parte delle riserve accertate di fonti fossili siano destinate a non essere mai utilizzate, se il mondo fa sul serio sul climate change: «Limitare il riscaldamento globale a 2° C – ha spiegato – significa, entro il 2040, ridurre la domanda di carbone del 45%, quella di petrolio e gas del 30%». Prossimo appuntamento il 5 maggio, quando le organizzazioni cattoliche globali nuove aderenti alla campagna ne daranno congiuntamente annuncio. Il successivo annuncio congiunto sarà il 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi.

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