venerdì 31 maggio 2013
​Parla Ernst von Freyberg: grande sfida servire il Papa nel ristabilire la reputazione di questo istituto.
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Prendendo con decisione l’iniziativa di una nuova “politica di comunicazione” dell’Istituto per le Opere di Religione, il presidente del Consiglio di sorveglianza, Ernst von Freyberg, ha concesso una serie di interviste. Per la Radio Vaticana l’intervista è stata realizzata dal padre Bernd Hagenkord, responsabile della Sezione Tedesca. L’originale è in lingua inglese ed è pubblicata integralmente sulla pagina web in lingua inglese del sito della Radio Vaticana.
Ernst von Freyberg è stato nominato presidente dello Ior il 15 febbraio scorso dal Consiglio cardinalizio di sorveglianza dell’Istituto, dopo un lungo e attento processo di selezione delle candidature.
Lo Ior, nella forma attuale, è stato fondato da Pio XII nel 1942 “per custodire e amministrare beni trasferiti o affidati all’Istituto da persone fisiche o giuridiche, per finalità di opere di religione o di carità”. L’Istituto, sito nella Città del Vaticano, amministra oggi fondi per un valore totale di circa 7 miliardi di Euro, ha circa 19.000 clienti (5.200 istituzioni cattoliche, titolari di oltre l’85% dei fondi amministrati, e 13.700 individui, fra cui gli impiegati vaticani, oltre a religiosi e alcune altre categorie specifiche autorizzate, come i diplomatici accreditati presso la Santa Sede). 
Presidente von Freyberg le piace il suo lavoro, venendo a Roma da Francoforte? Le piace lavorare in Vaticano?
È un grande privilegio lavorare qui; è l’atmosfera più ispiratrice che si possa immaginare, lavorare in Vaticano … Ed è anche una grande sfida servire il Papa nel ristabilire la reputazione di questo Istituto.
Come aveva immaginato – prima di iniziarlo – il suo lavoro qui?
Diversamente da quello che è. Quando sono venuto, pensavo di dovermi concentrare su quello che normalmente viene definito “fare pulizia” e “mettere in ordine” fra i conti correnti irregolari. A tutt’ora non vi è nulla di tutto questo che io abbia potuto rilevare. Questo non significa che non ci sia niente, ma piuttosto che questa non è la nostra preoccupazione maggiore. La nostra preoccupazione maggiore è la nostra reputazione. Il nostro lavoro – il mio lavoro – riguarda la comunicazione molto più di quanto non avessi pensato originariamente. E’ c’è da fare molta più comunicazione all’interno della Chiesa: non abbiamo fatto abbastanza in passato. Il lavoro inizia in casa nostra, con i nostri stessi dipendenti, con coloro che lavorano per la Chiesa di Roma, con coloro che sono nella Chiesa in tutto il mondo. A loro in primo luogo siamo debitori di trasparenza e di una chiara spiegazione in merito a quel che facciamo e del modo in cui cerchiamo di servire.
Come avviene che una persona come Lei, con la sua esperienza, possa voler lavorare per il Vaticano, dopo tutte le avventure che ha passato lo Ior?
Non è una cosa che vuoi. Non è che stai seduto a casa e lo sogni. Anche quando sei al colloquio, non dici a te stesso “Voglio fortemente questo incarico”. Quando poi sei convocato, sei contento di accettare la convocazione e questo penso che sia vero anche per gli altri candidati che hanno fatto il colloquio per questo incarico. Una volta che sei qui, poi, ti rendi conto che si tratta veramente di una bella esperienza e che è molto meno irta di complicazioni e di problemi interni di quanto ci si possa aspettare dall’esterno.
Come si svolge una giornata-tipo in ufficio? Certo, guardare fuori dalla finestra e trovarsi davanti Piazza San Pietro è certamente una vista alla quale la maggior parte della gente non è abituata … È come una giornata-tipo nel suo ufficio a Francoforte?
Una giornata normale che inizia nel modo più straordinario, perché ho il privilegio di alloggiare a Santa Marta e mi è concesso talvolta di partecipare alla Messa celebrata dal Papa. Questo è già un privilegio in sé: essere qui alle sette del mattino ed ascoltare le sue omelie, brevi e sempre molto intense. In ufficio, la mia giornata è strutturata secondo dei progetti. Sono un grande sostenitore dell’affrontare le questioni nella maniera sistematica di gestione del progetto. Il nostro impegno maggiore, qui, è di suddividere il compito in progetti e sotto-progetti, ed io partecipo ai comitati che portano avanti questi progetti. Incontro tutti i giorni il direttore ed il vice direttore per esaminare il lavoro del giorno, preparo riunioni di consiglio e poi comunico. Parlo all’interno della Chiesa, parlo con i giornalisti, oggi [martedì] sono stato a pranzo con l’ambasciatore di uno dei grandi Paesi del mondo per spiegare quello che stiamo facendo. Il mio impegno è diviso tra gestione dei progetti, ordinaria amministrazione e comunicazione.E per questo, la ringraziamo di parlare anche con noi. Si è parlato del fatto che lei sarebbe una sorta di direttore part-time. Lei non vive sempre a Roma: riesce a gestire questa situazione?
Se ci attenessimo agli statuti, questi prevedono che noi – il consiglio – ci incontriamo ogni tre mesi in quanto comitato; e che una volta al mese io passi in esame il risultato economico con il direttore generale. Questo è quello che i padri fondatori hanno previsto per la mia posizione. Quando ho fatto il colloquio, mi era stato detto “uno o due giorni alla settimana”; ora sto tre giorni a Roma e uno o due giorni lavoro in altre parti del mondo, ma sempre per l’Istituto. Penso che ad un certo punto dovrò riprendere ad attenermi un po’ di più agli statuti …
Ma per il momento, va bene per il suo lavoro …
Se penso alle sfide che abbiamo di fronte, abbiamo bisogno di ogni singola ora di lavoro.
Lei lavora alle dipendenze di una commissione cardinalizia. In pratica, cosa vuol dire?
C’è una commissione di cinque cardinali, la più alta istanza del nostro istituto. Li incontriamo all’incirca ogni due-tre mesi, normalmente nel contesto di una riunione di consiglio. Il direttore generale ed io incontriamo ogni mese il presidente della commissione cardinalizia per rendere conto del nostro operato ma anche per coordinare quello che stiamo facendo.
Ci sono anche altre agenzie, come società di consulenza, che collaborano al vostro lavoro?
C’è un’agenzia principale, che non è una società di consulenza ma il nostro supervisore, ed è l’Aif (l’Autorità di informazione finanziaria). Essa è l’autorità finanziaria che ha la supervisione di tutte le istituzioni finanziarie vaticane. A questa agenzia io riferisco regolarmente e con questa lavoro a stretto contatto. Per quando riguarda consulenti esterni: ne ho assunti un certo numero. Penso di avere assunto i consulenti più rinomati a livello mondiale nel campo della consulenza anti-riciclaggio, al fine di esaminare ogni singolo nostro conto corrente e per esaminare le nostre strutture e i nostri procedimenti volti all’identificazione del riciclaggio di denaro. Abbiamo assunto anche esperti della comunicazione ed uno dei più importanti studi legali perché ci assista nella migliore comprensione del quadro normativo nel quale ci muoviamo e nel nostro essere conformi alle leggi.
Parliamo di riciclaggio di denaro: immagino che ci siano delle norme da applicare …
La Santa Sede si è impegnata a rispettare gli standard internazionali. Noi applichiamo le leggi e gli standard più elevati richiesti dalle nostre banche corrispondenti. Personalmente, mi trovo sullo scrittoio ogni settimana tutti i casi sospetti e ho riunioni settimanali con il responsabile nell’impegno anti-riciclaggio. Inoltre, applichiamo una politica di tolleranza zero nei riguardi di clienti e di impiegati coinvolti in attività di riciclaggio.
Parliamo della banca, “la Banca del Vaticano”: anche se questo termine non è esatto, è così che è conosciuto il suo istituto. E’ legato a molti miti, ma al di là dei miti: cos’è esattamente, lo Ior?
Lo Ior è quello che era quando è stato istituito nel 1942. Fa soltanto due cose. La prima: riceve depositi dai suoi clienti e li custodisce. Anzitutto siamo una sorta di ufficio di famiglia, che protegge i fondi dei membri della famiglia. I membri di questa famiglia sono la Santa Sede, le istituzioni collegate con la Santa Sede, soprattutto le congregazioni religiose con le loro attività estese a livello mondiale, i membri del clero e i dipendenti del Vaticano. Il secondo servizio che forniamo, accanto alla protezione e alla custodia, sono servizi di pagamento: questo significa che forniamo il servizio di trasferimento di fondi – in particolare alle entità vaticane ed alle congregazioni che hanno attività sparse nel mondo – nei luoghi nei quali si svolgono le loro attività.
Quindi, in termini stretti, non siete una banca?
Non siamo una banca. Non prestiamo denaro, non facciamo investimenti diretti, non operiamo da controparte finanziaria. Non speculiamo in valuta o merci; il nostro principio è che riceviamo denaro e lo investiamo in titoli di Stato, in alcune obbligazioni societarie e nel mercato inter-bancario, nell’ambito del quale depositiamo ad un tasso d’interesse leggermente più alto rispetto a quello che riceviamo, al fine di poter restituire il denaro ai nostri clienti in qualsiasi momento.
Quello che avete in comune con altre banche è che guadagnate denaro, e alla fine della giornata c’è un certo guadagno. Questo è voluto o è una cosa che succede?
La nostra missione è servire. Se svolgiamo bene il nostro compito, possiamo aspettarcene un guadagno. Forniamo un contributo di circa 55 milioni di euro al bilancio del Vaticano e ne siamo un pilastro economico importante. Ora, Lei potrebbe chiedermi come facciamo a guadagnare 55 milioni di euro. Analizzando il nostro conto economico, se ne rilevano tre elementi fondamentali: uno sono gli interessi che versiamo a chi deposita. Poi gli interessi attivi che percepiamo da questo. E questa è la parte più rilevante del nostro reddito, che ammonta annualmente a 50-70 milioni di euro, dai quali noi deduciamo poi le nostre spese. Poi abbiamo il guadagno sui prezzi delle obbligazioni, che salgono e scendono: ecco, così si costituisce il nostro profitto. Quindi, margine d’interesse e il cambiamento nei valori dei titoli che possediamo; da questo vanno detratti i costi operativi che ammontano a circa 25 milioni di euro.
E tutto questo finisce, immagino, su un conto corrente a vantaggio del Vaticano, no?
Finisce su un conto corrente che è per il Vaticano.
Facciamo un’ipotesi: io vengo da Lei; ho appena fondato una congregazione religiosa. Quali servizi Lei può fornire a me e alla mia congregazione?
Solo due: può depositare i fondi che ha ricevuti da chiunque la sostenga, noi li custodiamo, Le versiamo gli interessi su questi fondi e Le restituiamo tutto in qualsiasi momento Lei ne abbia bisogno. Se Lei mi dice che ha istituito tre province, una in Asia, una in Africa e una in America Latina, io potrei garantirLe il trasferimento dei fondi ai suoi confratelli che sono sul posto per svolgere opera di carità, e Le garantirei anche che il denaro possa raggiungerli anche nei posti più strani del mondo.
Quale servizio rende lo Ior unico? Quale servizio che una normale banca – grande o media – non possa fornire?
Ciò che realmente è unico è che noi veramente comprendiamo il mondo della Chiesa e la missione della Chiesa. Nello Ior ci sono 112 persone che gestiscono 19.000 clienti. In larga maggioranza, essi sono suore o religiosi e molto spesso essi conoscono la persona che allo Ior si occupa di loro da 20 o 30 anni. Noi sappiamo esattamente di cosa hanno bisogno e loro qui trovano una persona fidata, ed è questo rapporto personale che li spinge a venire qui. Siamo in competizione come qualsiasi altro istituto finanziario nel mondo. Ogni singolo nostro cliente viene costantemente sollecitato dalle banche di appoggiarsi a loro. Rimangono con noi perché vogliono rimanere con noi. Vede, se chiedessimo ai nostri clienti: “Chiudiamo lo Ior?”, al 99,99% risponderebbero di no. Vogliono rimanere qui, vogliono portare i loro denari qui. Trovano un’assistenza personalizzata e l’esperienza ha dimostrato che qui sono al sicuro. Lo Ior è altamente capitalizzato, ha un patrimonio netto di circa 800 milioni su un bilancio di 5 miliardi. E’ il doppio di quello che si potrebbe trovare nelle banche al di fuori del Vaticano. In tutta la crisi finanziaria non siamo mai stati in difficoltà. Nessun governo ha dovuto salvarci; siamo molto, molto al sicuro.
Quindi: il vostro servizio speciale consiste nel fatto che la vostra gente conosce i clienti e la Chiesa, ma a lungo termine anche un’altra istituzione potrebbe fornire questo tipo di servizio. Ci sono altre banche – anche banche cattoliche, ad esempio – che potrebbero fornire servizi uguali, non pensa?
Potrebbero fornire anche un servizio molto buono: non direi uguale, perché ogni servizio è diverso. Probabilmente, molti dei nostri clienti si appoggiano anche ad altre banche e confrontano il nostro servizio con il loro.
Ma perché il Vaticano dovrebbe avere una “banca”? Questa è una domanda che si sente ripetere spesso, specialmente oggi, dopo l’elezione di Papa Francesco. Qual è la sua risposta?
Io guarderei alla domanda da due prospettive diverse: una è quella dei nostri clienti. Loro vogliono che noi ci siamo. Questo è il motivo per cui 19.000 clienti hanno scelto di depositare lì i loro denari. L’altro punto di vista è chiedersi se offriamo un buon servizio al Santo Padre. E con la reputazione che abbiamo, non abbiamo reso un buon servigio al Santo Padre, perché questa reputazione oscura il messaggio. E questo per me è il primo e più importante compito da affrontare.
Per uscire dall’angolo?
In realtà, per uscire dalle luci della ribalta e tornare nell’angolo (ridono): per svolgere umilmente il nostro servizio e non trovarci costantemente sotto ai riflettori.
Diceva del numero dei clienti: a confronto con altre banche, è alto, piccolo, medio?
È piccolo: ci sono solo poche banche più piccole del nostro istituto.
Il Rapporto dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), a cui lei faceva riferimento prima, ha indicato sei casi illeciti. Questo significa che lo Ior è implicato in comportamenti non idonei, o cosa ci dicono queste cifre?
Prima di tutto, queste cifre ci fanno capire come nascono le “voci”. Non sono “illeciti”, ma “sospetti”, e in realtà ciò dimostra che il nostro sistema di monitoraggio interno incomincia a funzionare. Questo significa che siamo diligenti e che abbiamo identificato sei transazioni delle quali abbiamo pensato che fossero inappropriate e per questo le abbiamo riferite al nostro supervisore. Quando identifichiamo una tale transazione, immediatamente la segnaliamo all’Aif, che è il nostro supervisore.
Questo è il metodo di trasparenza da parte dell’Aif e anche da parte vostra …
Questo è il sistema di segnalazione in atto all’interno della Santa Sede, che può essere applicato ad ogni istituzione finanziaria. E’ quello che ci si aspetterebbe in un sistema finanziario moderno: un sistema che controlli ogni transazione. Noi non siamo una banca, ma in quanto istituzione finanziaria, questa disposizione vale anche per noi. Noi controlliamo ogni transazione; se rileviamo un qualsiasi comportamento sospetto, presentiamo un cosiddetto “Rapporto di transazione sospetta” all’Aif. Questo sistema è progettato per prevenire il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo.
Si è parlato molto anche della “lista bianca” dell’Ocse: il Vaticano vorrebbe essere accolto in quella “lista bianca”. Come il suo Istituto può contribuire affinché ciò avvenga?
Non c’è nessuna “lista bianca”. Lo scopo della procedura Moneyval è identificare Paesi e giurisdizioni che possano mettere a rischio il sistema finanziario globale. Questo avviene eseguendo valutazioni riguardo al quadro giuridico di ogni Paese e giurisdizione. Si identificano quei Paesi e quelle giurisdizioni che vengono definiti critici. La Santa Sede si è sottoposta a questa valutazione l’anno scorso e secondo il Rapporto Moneyval, pubblicato l’anno scorso, la Santa Sede ha in atto un sistema funzionale e non è considerata una giurisdizione critica. Detto ciò, noi dello Ior siamo un elemento di tale sistema. Siamo chiamati, in particolare, a mettere in atto procedimenti e strutture più severi al fine di individuare transazioni sospette e clienti sospetti. Perciò ora mi avvalgo dell’opera della migliore agenzia di consulenza del mondo per queste faccende, per riscrivere il nostro manuale su come individuare transazioni e clienti sospetti e come ricontrollare tutti i nostri conti correnti. Strutture e procedure saranno pronte alla fine dell’estate, e con questo avremo compiuto questa parte dell’opera. Ma andremo oltre e controlleremo ogni singolo deposito, e questo sarà portato a conclusione entro la fine dell’anno.
Nel suo istituto ci sono conti cifrati? Corrono sempre voci su somme enormi senza padrone …
Questo è un altro buon esempio: è pura fantasia. Non esistono conti cifrati. Fin dal 1996 è tecnicamente impossibile, con il nostro sistema, aprire un deposito cifrato. Sarebbe anche contro la legge del Vaticano. Io stesso sono andato a controllare nel sistema, ho fatto controlli a campione: non ho trovato traccia di conti cifrati.
Nemmeno per quanto riguarda il passato?
Non potrebbero esistere in questo sistema.
Noi ora siamo seduti qui per questa intervista; la settimana scorsa c’è stato il rapporto all’Autorità di informazione finanziaria: trasparenza è la nuova parola d’ordine allo Ior?
La trasparenza è una chiave, ma non solo la trasparenza; anche ciò a cui si mira, una volta diventati trasparenti: e cioè, che siamo completamente puliti, come è necessario essere se si vuole essere accettati nel sistema finanziario internazionale. La trasparenza non è una cosa che il mondo ha da sempre e alla quale il Vaticano dev’essere trascinato. Se torniamo indietro di 15 anni, probabilmente allora eravamo molto normali, nel senso che tutte le istituzioni finanziarie private nel mondo, e anche quelle pubbliche, operavano sulla base del segreto bancario. Oggi è ancora al centro di un grande dibattito all’interno dell’Unione Europea fino a che punto debba valere il segreto bancario. Poi, sono accadute tre cose: la prima è stata l’11 settembre, quando gli americani sono partiti all’attacco per identificare i finanziamenti ai terroristi. Questo processo ovviamente è iniziato dalle maggiori banche del mondo ed ora ha raggiunto anche la più piccola banca o il più piccolo istituto nel più piccolo Stato: per arrivare a questo, ci sono voluti alcuni anni. Poi sono arrivati i social media, e con i mezzi di comunicazione sociale nella pubblica opinione è venuto formandosi un concetto completamente nuovo di segretezza, anche nell’ambito della finanza. Poi è venuta la crisi finanziaria insieme alla necessità e al desiderio che le autorità fiscali trattassero in maniera equa i contribuenti, richiamando gli evasori alle loro responsabilità. Questo, a sua volta, ha costretto le istituzioni finanziarie a rinunciare ad una parte del segreto bancario. Questi tre eventi hanno trasformato l’ambito finanziario nel mondo, e noi siamo arrivati in ritardo, ad adeguarci a questo nuovo mondo. Ora stiamo correndo per recuperare e per tornare dove eravamo 15 anni fa: relativamente normali in confronto con altre istituzioni finanziarie.
Pure, come Lei ha detto, in questo momento c’è una sorta di ombra sul Vaticano, che un po’ scolora l’immagine e del papato e del Vaticano stesso. C’è stato qualcosa di sbagliato o non ancora applicato…
Sì: ora stiamo riguadagnando la nostra reputazione. Questa è la cosa più importante che devo fare: cacciare quell’ombra.
Sarà possibile?
Sì, perché credo che siamo un’istituzione finanziaria ben gestita e pulita. Possiamo migliorare in tutti gli ambiti, come tutti gli altri, e ci stiamo impegnando ad essere validi come lo sono istituti simili. Poi, abbiamo bisogno di comunicare. Nel passato, non parlavamo con nessuno, a cominciare dai nostri interlocutori più prossimi. Non abbiamo parlato in maniera sistematica con i cardinali, non con la Curia, non con la Chiesa. E’ diritto di ciascun membro della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo di essere informato dettagliatamente su questa istituzione. Cosa faremo ora? Inizieremo a parlare con i media, parleremo nella Chiesa ed informeremo in maniera sistematica i nostri interlocutori fondamentali; presenteremo un rapporto annuale come farebbe ogni altra istituzione finanziaria e lo pubblicheremo in internet il 1° ottobre, sul nostro sito.
Il suo incarico dura cinque anni, vero?
Ad essere precisi, ho iniziato nel mezzo di un mandato: il mio incarico finisce nel 2015.
Nel 2015, che cosa considererebbe un successo del suo lavoro?
Il mio sogno è molto chiaro: il mio sogno è che la nostra reputazione sia tale che la gente non pensi più tanto a noi; che quando la gente pensa “Vaticano”, non pensi più “Ior” ma ascolti le parole del Papa.
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