lunedì 20 maggio 2013
​Il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi: con la fine della procedura di infrazione, investimenti produttivi a livello locale. Un risultato delle politiche di rigore: ora siamo credibili e si può invertire la tendenza. (Andrea Lavazza) 
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Un "tagliando" al Paese e alle sue infrastrutture con le risorse liberate dalla flessibilità consentita dal Fiscal Compact. Una possibilità di investimenti produttivi, forse fino a 10 miliardi nel 2014, ad esempio nel settore ambientale e dei trasporti locali, consentita a breve grazie alla conclusione della procedura europea di infrazione per deficit eccessivo. Un volano per la ripresa insieme al pagamento progressivo dei debiti delle pubbliche amministrazioni e all’utilizzo del cofinanziamento europeo dei fondi strutturali. Dopo il rigore si può anche provare a mettere in atto una politica anticiclica che attenui i morsi della recessione e provi a ridare ripresa e occupazione a un Paese in profonda sofferenza. Ma per poterlo fare bisogna passare dalle procedure Ue, vincolo soffocante od opportunità di non essere travolti dalla recessione mondiale, secondo la prospettiva da cui le si guarda. Enzo Moavero Milanesi è decisamente del secondo avviso, mentre tratteggia con Avvenire lo scenario che potrebbe aprirsi a breve. E forse non potrebbe essere altrimenti, per il 58enne responsabile per gli Affari europei, unico ministro di Monti riconfermato nel suo dicastero da Enrico Letta. La sua paziente e competente opera di trattativa, mediazione e ricucitura ha contribuito fortemente al risultato che ci si aspetta a fine mese.Ministro Moavero, che cosa significa per l’Italia uscire dalla procedura di infrazione europea?Vuole dire innanzitutto evitare onerose sanzioni pecuniarie in percentuale sul Pil, che l’Italia si sarebbe potuta trovare a sopportare se non avesse messo in atto le politiche di rientro. Le regole del Trattato europeo, ricordiamolo, prevedono che gli Stati rispettino il pareggio di bilancio (sforando al massimo del 3%) e che non abbiano un debito complessivo superiore al 60% del Pil. L’Italia ha storicamente un debito superiore al prodotto interno, quindi può agire in tempi brevi soprattutto sul primo parametro. Se a monte della più grave crisi economica dalla fine della Seconda guerra mondiale, quella che doveva essere un’eccezione (la possibilità appunto di arrivare al 3% di deficit) era diventata una pratica accettata, dal 2008 in poi si è capito che era una pericolosa debolezza dei Paesi che l’hanno messa in atto. L’abbiamo sperimentato durante la grave situazione iniziata nella primavera-estate del 2011. A quel punto, l’Europa nel suo insieme ha compreso che bisogna ripristinare una condizione di rigore dei conti, non fine a se stessa, ma tesa a ridare forza, credibilità e fiducia agli Stati e ai loro bilanci.Si è arrivati così al Fiscal Compact e alle altre norme, contenute nei cosiddetti Sixpack e Twopack, in base ai quali l’Italia ha inserito in Costituzione il principio del pareggio di bilancio...Si tratta di misure che sono però sotto-ordinate rispetto al Trattato europeo, quindi non pongono vincoli nuovi, semmai precisano e rafforzano quelli esistenti, verso i quali si era stati un po’ troppo permissivi. Tali misure sono servite e servono a riportare stabilità finanziaria. Anche il nostro Paese si è virtuosamente adeguato, con una encomiabile risposta dei cittadini contribuenti, che hanno sopportato il peso dei provvedimenti varati a partire dal 2011. Oggi, quindi, essendo rientrati sia strutturalmente sia nominalmente sotto il 3% di deficit, ci siamo riguadagnati credibilità e la possibilità di tornare a spendere per investimenti. Una necessità che come governo in sede europea abbiamo manifestato con convinzione nell’ultimo periodo, consapevoli che sia il momento di misure anticicliche per invertire il corso della crisi, una volta messi i conti in sicurezza.Il Fiscal compact, quindi, lascia margini di flessibilità?Esattamente. Dato che l’Italia ha dimostrato di sapere esercitare il rigore necessario e ha mostrato responsabilità, uscendo con le proprie forze dalla bufera innescata tra l’altro da una speculazione che scommetteva sulla nostra fragilità, ora si può accedere a quel margine per tornare a fare investimenti produttivi. In sostanza, se il nostro deficit è poco più del 2%, abbiamo facoltà di utilizzare una frazione di Pil, fino a poco meno del 3% di disavanzo, per rianimare il tessuto industriale e occupazionale. Quali modi vede, principalmente?Intervenire sugli ambiti infrastrutturali, a cominciare da quelli in cui siamo più carenti e, anzi, in cui rischiamo che l’Europa ci sanzioni: dal trattamento delle acque al ciclo dei rifiuti, dal risparmio energetico alla tutela del territorio. Si otterrebbe un buon risultato specie in termini di piccola imprenditoria e occupazione a livello locale, quello di cui abbiamo bisogno. Se il costo per lo Stato fosse nella forma di sgravi fiscali, si avrebbe l’ulteriore moltiplicatore degli investimenti privati. Sono interventi che possiamo studiare in questi mesi e avviare subito dal 2014. E non dimentichiamo che c’è poi la parte del rimborso del debito della Pubblica amministrazione, 90 miliardi in due anni. Anche in questo caso, le cose non sono state semplici come potrebbe sembrare. È servito tempo per spiegare in Europa che non avevamo "nascosto" una parte di debito: e così oggi abbiamo un altro importante via libera.Tutto questo però fa dire ai critici che l’Italia dall’Europa ottiene poco rispetto ad altri, cui è concesso molto di più...È un’impressione legittima. Non possiamo sottovalutare il crescente euroscetticismo o la delusione. Tuttavia, elementi positivi sono sul tavolo proprio in questi giorni. Al Consiglio europeo di mercoledì 22 maggio si parlerà di due temi assai rilevanti anche per noi. Primo, l’apertura ulteriore del mercato energetico Ue, con maggiori interconnessioni continentali, cosa che dovrebbe aumentare la concorrenza e fare diminuire i costi. Sappiamo quanto è pesante la nostra bolletta, sia delle famiglie, sia delle imprese. Quindi, il beneficio potrebbe essere notevole. Secondo, la lotta alle frodi fiscali, con un impegno collettivo contro i "paradisi" dell’evasione. Un’Europa che tenta anche il rilancio politico, con la recente mossa di Hollande...Mossa non imprevista, ma consequenziale. La risposta comune alla crisi ha avvicinato e fatto capire quanto siano interdipendenti i Paesi (pensiamo solo al fatto che sui singoli bilanci ora vi sarà un vaglio preventivo a livello Ue). Il passo verso una maggiore integrazione anche politica ora è possibile e doveroso. Il governo vuole essere della partita, convintamente europeista in tutte le componenti che lo sostengono in Parlamento, propositivo ma anche capace di usare il peso dell’Italia per dire i "no" necessari.
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