lunedì 15 maggio 2017
Le innovazioni tecnologiche dovrebbero rappresentare una soluzione al fenomeno del sottosviluppo
Investire in intelligenza, il nuovo imperativo
COMMENTA E CONDIVIDI

I trend tecnologici parlano di realtà aumentata, iperascolto medico, ipervisione, e tante altre innovazioni che potrebbero contribuire a migliorare la qualità della vita dell’uomo e del nostro pianeta. È questo il punto. È importante investire in ricerca tecnologica applicata al benessere dell’umanità e non necessariamente allo sviluppo di prodotti per fini commerciali. Ma soprattutto è importante investire in intelligenza in senso lato per essere pronti a usare al meglio le innovazioni tecnologiche che si rendono sempre più velocemente disponibili. Questo è quello che fanno tante istituzioni e tante aziende. Ma è ancora più importante rendere pervasivo e virtuoso questo sistema. A beneficio della sostenibilità.

La tecnologia dovrebbe rappresentare una possibile soluzione al fenomeno del sottosviluppo, anche se i recenti dati forniti dal Global Connectivity Index mostrano come i Paesi più sviluppati tecnologicamente evolvono più rapidamente ed il divario aumenta. Ma il GCI si basa sostanzialmente sugli indicatori tecnologici ICT - capacità di investimento in banda e tecnologia – e non va trascurato che un grande potenziale è nascosto o comunque sotto-utilizzato in molti Paesi. Parlo del capitale umano che potrebbe sfruttare la sempre più grande e sempre più democratica distribuzione delle tecnologie per innovare anche laddove alcune “materie prime” o “posizioni di vantaggio” sono limitate.

Un aneddoto. Oltre 60 anni fa, Thomas J. Watson, CEO IBM scriveva “Le macchine non toglieranno mai all’essere umano la sua iniziativa né mai elimineranno la necessità del suo pensiero creativo. Piuttosto, liberandolo dai lavori manuali e dalle forme di pensiero più ripetititve, aumenteranno in realtà le opportunià per il pieno utilizzo della ragione umana”. Oggi se pensiamo al mondo della musica o al fenomeno della uberizzazione emerge chiaramente il rischio della disintermediazione, già vaticinato con l’affermazione di Internet a fine anni ’90.

Ma la storia ci ha insegnato che l’avvento di Internet in realtà ha portato alla scomparsa di alcune forme di intermediazione e alla nascita di nuove forme di intermediazione e queste due fasi antitetiche sono state contestuali. Non c’è ragione per credere che questa volta sarà differente. Anzi, data la crescita esponenziale della conoscenza, resa possibile anche dall’era cognitiva, ci sono molte ragioni per credere che il lavoro diventerà sempre più basato sui contenuti e sul valore. Chi avrà la meglio tra i timori o l’entusiamo? C’è la convinzione in molti esperti che le macchine non potranno mai sostituire l’essere umano: mai acquisiranno una coscienza né agiranno autonomamente. Piuttosto saranno sempre più pervasive nei processi, nei sistemi, nei prodotti e nei servizi che governano la società. E questi saranno e dovranno rimanere sempre sotto il controllo umano. C’è a chi piace invece pensare ad intelligenze artificiali che supereranno quelle umane. Proveranno mai emozioni? Sapranno essere creative? Io ritengo di no. E mi sono quasi convinto che il vero test per per l’Intelligenza Artificiale – chissà forse un’estensione delle forme più estreme della declinazione del Test di Turing – sarà un paradosso. Una macchina potrà dirsi veramente intelligente solo quando avrà la capacità di realizzare quello che non avrà mai: la creatività e le emozioni. E per questo magari, piena di invidia o di gelosa, soffrirà.

vice President Health and Public Sector IBM Italia

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: