venerdì 28 febbraio 2014
L’indagine rivela che per il 33% dei votanti le differenze rappresentano un valore irrinunciabile
COMMENTA E CONDIVIDI
Le diversità culturali non sono motivo di diffidenza, ma rappresentano un incentivo alla crescita delle persone perché occasione di confronto costruttivo: a evidenziarlo, l’ultimo sondaggio di Openjobmetis che, sulla home page del proprio sito (www.openjob.it), ha posto una domanda molto diretta agli utenti a proposito della multiculturalità in ambito lavorativo: è un valore aggiunto o un ostacolo per l’azienda?Significativi i risultati emersi: per il 67% dei circa mille votanti, la multiculturalità è un valore aggiunto, mentre rappresenta un ostacolo solo per il 18%, con un altro 15% che non dà un giudizio di merito, ma ritiene che la multiculturalità in azienda sia ormai un processo inevitabile. Inoltre, è interessante sottolineare come il 33% dei partecipanti al sondaggio non solo si sia espresso positivamente verso la multiculturalità, ma addirittura la ritiene un valore irrinunciabile. Un altro 19% si è detto, infine, convinto che possa rappresentare uno stimolo al miglioramento delle persone e alla redditività aziendale, mentre c’è anche chi pensa (e siamo al 15%) che le diversità contribuiscano a promuovere un clima aziendale più sereno e stimolante.Di contro, la diffidenza è confinata in un numero esiguo di votanti: si tratta di quel 18% che è convinto che la multiculturalità possa rappresentare un ostacolo al rafforzamento dell’identità nazionale (16%) se non addirittura fonte di conflitti e tensioni tra colleghi (2%). “I risultati del nostro studio - commenta Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis - ci offrono una visuale interessante e per molti aspetti rassicurante: la direzione dell’integrazione tra persone di cultura e provenienza differente è un processo in atto che solo un approccio costruttivo potrà volgere in positivo. Del resto, in Italia è in crescita sia il numero di studenti provenienti da Paesi strettamente connessi con il nostro sviluppo (per esempio la Cina)  sia quello di manager stranieri da lungo tempo operanti in Italia o di cosiddetta seconda generazione”. Questi ultimi, tra l’altro, sono dei candidati di indubbia validità per affrontare, all’interno delle imprese, i processi di internazionalizzazione.  "Attualmente – conclude Rasizza – abbiamo allo studio un processo di rafforzamento che mira alla ricerca, alla selezione e alla valorizzazione di talenti biculturali e multiculturali presenti nella nostra società allo scopo di aumentare la competitività delle aziende italiane sia sui mercati interni (per esempio cogliendo i tratti dei “nuovi consumer” emergenti dalle comunità di immigrati), sia sui mercati internazionali, con l’obiettivo di completare le competenze interne e la capacità attuativa delle aziende che intendono avviare o consolidare circuiti di business internazionali”.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: