martedì 11 ottobre 2011
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Una notizia buona e una meno buona per i dipendenti pubblici. Cominciamo dalla prima; il taglio di stipendio agli impiegati con retribuzioni sopra i 90 mila euro, in misura del 5-10% per il triennio 2011/2013, non produrrà riflessi negativi sulla futura pensione, nel senso che, poiché sulla quota tagliata andranno comunque pagati i contributi previdenziali, la misura delle pensione a fine carriera non subirà alcuna conseguenza in negativo. La notizia meno buona è la stessa, praticamente, ma di segno opposto: lo stop di tre anni imposto agli adeguamenti retributivi e alle progressioni di carriera influirà, negativamente, sulla futura pensione, perché determina il versamento ridotto dei contributi. Le precisazioni sono entrambe dell’Inpdap, l’ente che gestisce la previdenza dei pubblici dipendenti (nota operativa n. 22/2011), che ha passato in rassegna, sotto l’aspetto contributivo (e quindi ai fini pensionistici), le misure di risparmio della spesa pubblica introdotte dalla manovra estiva dell’anno scorso e già in vigore per un triennio (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013). La prima di queste misure stabilisce il blocco, senza recupero, di qualunque meccanismi di adeguamento retributivo a favore del personale pubblico. L’Inpdap spiega che le amministrazioni datrici di lavoro devono continuare a versare i contributi, per la quota a proprio carico e per quelle a carico dei lavoratori sulle retribuzioni effettivamente erogate; retribuzioni, dunque, prive degli aumenti. A fine carriera, di conseguenza, la pensione risulterà sminuita dallo stop di avanzamento della carriera retributiva (su cui non saranno stati versati i contributi).La seconda misura è il blocco delle progressioni di carriera comunque denominate, sempre per il personale pubblico, le quali (progressioni) hanno effetto solo ai fini giuridici. L’Inpdap spiega che, per le progressioni interessate al blocco, il lavoratore acquisterà la posizione/qualifica superiore mediante promozione, ma senza relativa remunerazione retributiva che invece otterrà solo a partire dall’anno 2014. Anche in questo caso, come il precedente, le amministrazioni datrici di lavoro sono tenute a continuare il versamento dei contributi, per la quota a proprio carico e per quelle a carico dei lavoratori, sulle retribuzioni effettivamente erogate. A fine carriera, di conseguenza, la pensione risulterà sminuita dallo stop di progressione della carriera retributiva (su cui non saranno stati versati i contributi).Diverso è il discorso relativo alla terza misura, quella sulla riduzione straordinaria dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici in misura del 5 per cento della parte eccedente i 90 mila euro fino a 150 mila euro, nonché del 10 per cento della parte eccedente i 150mila euro. La norma, spiega l’Inpdap, precisa che “la riduzione … non opera ai fini previdenziali”. In questo caso, quindi, c’è l’esplicita previsione di garantire la tutela previdenziale, per cui la sconto retributiva non determina la corrispondente riduzione della base imponibile per il versamento dei contributi pensionistici. In conclusione, la riduzione non produrrà riflessi negativi su quella che sarà la futura pensione.
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