mercoledì 28 settembre 2011
Una ricerca coordinata da CA Technologies e NetConsulting fotografa il nuovo fenomeno. I teen ager che amano Facebook e Twitter sono le prede più ambite dei grandi manager.
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È assai probabile che la prossima generazione di lavoratori non andrà più in ufficio ogni giorno per lavorare, ma potrà farlo da casa o altrove, consumerà meno carta per sbrigare pratiche e saprà comunicare con tutti, senza grandi difficoltà, limiti geografici o linguistici, attraverso le tecnologie digitali. Per capire come sia possibile basta osservare quei giovani nati a metà degli anni Ottanta ed entrati nel mercato del lavoro nel nuovo millennio, chiamati appunto Millennials dai sociologi, che tra pochi anni saranno chiamati a sostituire una generazione uscente, i Baby Boomers. Sono i maggiori colonizzatori di Facebook, utenti di Twitter, consumatori avidi di strumenti di comunicazione mobile, Tablet o iPhone, sempre connessi a Internet e pionieri del Web 2.0 e un po’ anarchici verso regole troppo restrittive.Ma che cosa sanno fare i Millennials? Una risposta arriva da CA Technologies e NetConsulting che hanno condotto lo studio "Aziende italiane e Millennials. Sfide e opportunità", fotografando il mondo dei giovani e il loro uso della tecnologia. In Europa, racconta la ricerca, i giovani tra i 18 e 30 anni sono 150 milioni, usano in maniera intensiva Facebook, Skype e Youtube più volte al giorno e hanno una grande dimestichezza con i sistemi di archiviazione online, la comunicazione istantanea, la realizzazione di blog e animazione di network e sanno dialogare apertamente attraverso i social media. Rapidi in Rete, aperti alle sperimentazioni tecnologiche, ma paradossalmente tagliati fuori dal mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione intorno al 27% (50% al Sud) e in buona parte scoraggiati che rinunciano all’idea di trovare un lavoro o continuare gli studi. Per questa generazione in difficoltà è stata varata di recente dal governo una serie di misure legislative che vanno dalla revisione dei contratti di apprendistato, alla restrizione dell’uso indiscriminato dei tirocini formativi (stage), alla riforma del sistema fiscale cosiddetto "dei minimi" per chi apre una partita Iva, alla definizione di incentivi fino a 5mila euro per l’occupazione di giovani genitori. Ma al di là delle agevolazioni, perché portarseli in azienda? «L’elevata familiarità con i servizi online rende i Millennials una risorsa già formata sotto vari aspetti», spiega Annamaria Di Ruscio, direttore generale di NetConsulting. «Questa è una grande opportunità poiché la forte propensione a usare tecnologie per comunicare e condividere informazioni e idee aumenta notevolmente la produttività aziendale». Le imprese, per questo motivo, si aspettano un forte impatto dal loro ingresso. Il potenziale in termini di innovazione sotto il profilo organizzativo è altissimo, al punto che l’83% delle aziende italiane intervistate prevede di incrementare la loro presenza in azienda. In prima fila ci sono le imprese dell’Ict, ma anche il mondo dell’industria, dell’energia e delle utility sono interessate. Secondo il 68% delle imprese i giovani appassionati di tecnologie favorirebbero un aumento della produttività e dell’efficienza, migliorando al tempo stesso la condivisione della conoscenza, ma potrebbero dare anche nuovo stimolo alla creatività aziendale e portare reale innovazione. Alcuni intravvedono un buon potenziale nel miglioramento delle relazioni con i clienti e velocità di reazione ai momenti di crisi. Oltre la metà dei Millennials si disinteressa addirittura del luogo di lavoro e della presenza fisica in ufficio, essendo abituata a interagire con gli altri principalmente in maniera elettronica. A differenza dei colletti bianchi presenti oggi in azienda, i giovani hi-tech usano i social network senza alcun problema, sanno adattarsi meglio alle trasformazioni organizzative e conoscono metodi e strumenti per condividere il sapere, a partire da wiki, reti intranet e sistemi di publishing online.
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