mercoledì 9 settembre 2020
Secondo l’Ufficio studi della Cgia questo provoca demotivazione e abbassa la produttività del lavoratore
Un'aula scolastica vuota

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Sono oltre 5.800.000 gli occupati sovraistruiti presenti in Italia. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia. Il riferimento è ai diplomati e ai laureati che svolgono una professione per la quale il titolo di studio maggiormente richiesto è inferiore a quello posseduto. Nel 2019 erano poco meno del 25% del totale degli occupati e la loro incidenza è in costante aumento: negli ultimi dieci anni, infatti, i dati assoluti dei sovraistruiti in Italia sono cresciuti di quasi il 30%. Se, inoltre, calcoliamo la percentuale solo sugli occupati che possiedono un diploma di scuola media superiore o una laurea, l’anno scorso l’incidenza degli sovraistruiti è salita al 40%. «L’incremento degli sovraistruiti – spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia - è in massima parte dovuto alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati. Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale registrato in questi anni sono usciti dal mercato del lavoro tanti over 60 con livelli di istruzione bassi che sono stati rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza professionale alle spalle. Tuttavia, la sovraistruzione non va sottovalutata, perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento che condizionano negativamente il livello di produttività del lavoratore interessato e conseguentemente dell’azienda in cui è occupato. Il clima di sconforto che si viene a creare può innescare delle situazioni di malessere che diffondendosi tra i colleghi può addirittura interessare interi settori o reparti produttivi, con ricadute molto negative per la vita dell’azienda».

Per combattere la sovraistruzione, fanno sapere dalla Cgia, bisogna assolutamente ridurre lo scollamento tra domanda e offerta di lavoro
, cercando di far collimare sempre più le esigenze aziendali con le specificità e l’autonomia del mondo della scuola. Sebbene nel nostro Paese il problema della sovraistruzione sia in costante ascesa, paradossalmente continuiamo a essere tra i meno scolarizzati d’Europa. Denuncia il segretario dell’Ufficio studi della Cgia Renato Mason: «L’anno scorso la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2%, un dato decisamente inferiore a quello medio dell’Unione a 28, pari al 78,8% e a quello di alcuni tra i nostri principali competitor. Segnalo, infatti, che la Francia registrava l’80,4, il Regno Unito l’81,1 e la Germania l’86,6. Non meno ampio è il divario per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario sempre nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni. Se nel 2019 in Italia la soglia era del 19,6%, la media europea si è attestata al 33,2. Si segnala come la quota di laureati italiani tra i 25-34enni nelle discipline Stem sia simile alla media dei 22 Paesi dell’Unione Europea membri dell’Ocse. Tuttavia, si denota un forte divario di genere. Se per la componente maschile lo scarto è di sei punti con la media Ue, l’incidenza delle laureate italiane nelle discipline tecniche è invece superiore al dato medio europeo».

Secondo la Cgia il ruolo delle pmi permetterebbe di arginare la diffusione del fenomeno. Sebbene non ci siano dati che ci consentono di misurare con puntualità il livello di sovraistruzione per dimensioni di impresa, l’esperienza quotidiana ci insegna che il ruolo delle maestranze presenti nelle piccole imprese è centrale rispetto a coloro che lavorano nelle aziende di maggiori dimensioni. Nelle Pmi, infatti, oltre a disporre delle conoscenze formali apprese durante l’esperienza scolastica, prevalentemente di natura tecnico/professionale, i dipendenti, grazie alle mansioni “allargate” che praticano in queste piccole realtà produttive, dispongono di conoscenze operative ed esperenziali più estese e complesse di coloro che, invece, esercitano la propria attività lavorativa in maniera definita e in ambiti molto ristretti. Così come spesso succede per chi è impiegato in una impresa di grandi dimensioni.

A livello territoriale la regione più “investita” dal fenomeno è l’Umbria, che l’anno scorso registrava il 33% dei sovraistruiti sul totale degli occupati. Seguono l’Abruzzo (30,3%), la Basilicata (29,4%), il Molise (27,8%) e il Lazio (27,2%). In coda alla graduatoria scorgiamo il Piemonte (22,2 %), la Lombardia (21,7 %) e il Trentino Alto Adige (19,3%). Negli ultimi dieci anni la crescita più sostenuta del numero degli occupati sovraistruiti l’ha avuta il Trentino Alto Adige (+57%), seguono la Sardegna (+46%), e la Puglia (+45%). Tra i laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio più richiesto è inferiore a quello posseduto le professioni più diffuse sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegato amministrativo. Tra i diplomati, invece, prevalgono i lavori di barista, cameriere, muratore e camionista.
Sebbene negli ultimi anni ci sia stata una contrazione del fenomeno, un elevato numero di giovani continua a lasciare prematuramente la scuola, anche dell’obbligo, concorrendo ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale. Nel 2019 l’abbandono scolastico è stato del 13,5% (per un totale di 561mila giovani). Una persona che non ha un livello minimo di istruzione, infatti, è in genere destinata per tutta la vita ad un lavoro dequalificato, spesso precario e con un livello retributivo molto basso, rispetto a quello cui potrebbe aspirare, almeno potenzialmente, se possedesse un titolo di studio medio-alto. Le cause che determinano l'abbandono scolastico sono principalmente culturali, sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi. C'è anche un fattore di genere: ad abbandonare precocemente la scuola sono più i maschi che le femmine.

Nonostante la disoccupazione giovanile sia alta, il livello di istruzione ancora ben al di sotto degli standard europei e l’abbandono scolastico rimanga sostenuto, anche nel pieno della fase Covid le imprese hanno faticato a trovare personale. Sebbene sia un mese molto particolare, stando alla periodica indagine condotta su un campione significativo di imprese da Unioncamere e Anpal, il 30% circa delle 200mila assunzioni previste ad agosto è stato di difficile reperimento, con punte del 39,6% in Friuli Venezia Giulia, del 38,1% in Umbria, del 37,6% in Veneto e del 37,5% in Trentino Alto Adige. Tra le professioni non facili da coprire segnaliamo i meccanici artigiani, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (53,5%), artigiani e operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (43,1%) e gli autisti di bus e mezzi pesanti (42,5%).




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