mercoledì 10 ottobre 2012
​Le aziende italiane non investono in formazione e aggiornamento e offrono poche opportunità di carriera (nella foto Marco Ceresa, ad di Randstad).
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​I lavoratori italiani stanno vivendo un periodo caratterizzato da un diffuso disorientamento. A confermarlo sono alcuni dati che emergono dal Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro che la multinazionale Olandese Randstad, seconda azienda al mondo nel mercato delle risorse umane, ha condotto nell’ultimo trimestre. In quest’ultima ricerca, condotta in 32 Paesi nel periodo che va dal 17 luglio al 15 agosto, l’attenzione si è focalizzata sulla coerenza che caratterizza il percorso professionale, dalla formazione personale al reale sbocco nel mondo del lavoro. Per quanto concerne i lavoratori italiani, dall’analisi delle risposte, emerge innanzitutto una diffusa coerenza tra l’orientamento intrapreso negli studi e il lavoro in seguito svolto: è così, infatti, per il 74% degli italiani (stesso indirizzo tra istruzione ed occupazione) a differenza del 66%, emerso fra i tedeschi, e del 67% fatto registrare dai colleghi francesi (vs. media globale del 66%).Per quanto riguarda i lavoratori italiani, però, emerge una prima sostanziale discrepanza, soprattutto nei confronti dei colleghi stranieri, tra il ruolo occupato e le effettive responsabilità ricoperte. E così, mentre pochi italiani, il 36% del campione (rispetto alla media globale del 47%), si sentono sovra-qualificati nelle rispettive attività, il dato che si discosta maggiormente dai colleghi degli altri paesi è quello relativo a coloro che si sentono sotto-qualificati: è infatti quasi un italiano su due, il 46%, a dichiarare di sentirsi sotto-qualificato nelle attività che sta svolgendo, contro una media globale del 20% e con notevole differenza con il 15% dei tedeschi, del 25% dei francesi, del 19% dei lavoratori del Regno Unito per finire, con appena il 14% dei colleghi statunitensi.“Da quest’edizione del Workmonitor emergono dati che testimoniano una sorta di disorientamento di fondo dei lavoratori italiani – commenta Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad – soprattutto se, alla luce della crisi dei mercati, si considera il proprio ruolo all’interno dell’azienda e quello dei colleghi. Inoltre alcune aziende, in questo periodo particolarmente critico, tagliano i budget destinati alla formazione interna e alla creazione di nuove opportunità di lavoro. Non tutto però ha segno negativo – conclude il Dott. Ceresa  - basta guardare i dati relativi ai giovani italiani che reagiscono con un grande dinamismo se si pensa che il 48% (vs il 14% di un anno fa) è oggi alla ricerca attiva di un nuovo lavoro, con una media nazionale assestata all’11%”. Altre differenze importanti emergono anche quando ai lavoratori italiani è stato chiesto di rispondere alle stesse domande relative alla situazione dei propri colleghi: anche a questi ultimi, infatti, viene spesso attribuita una buona congruenza tra il percorso formativo ed il ruolo professionale ma in misura inferiore alla propria (63% vs 75%), dato in linea con quelli registrati tra inglesi ed americani quasi nella stessa proporzione ma non dai lavoratori tedeschi (72%) i quali, secondo il Workmonitor Randstad, sembrano avere una maggiore stima sulla preparazione teorica dei colleghi di lavoro.

A differenza con gli altri Paesi però, i lavoratori italiani dimostrano una sorta di “posizione auto-vittimistica” quando devono valutare il lavoro dei colleghi: a testimoniarlo è l’alta  differenza tra il proprio indice di “sovra-qualificazione” (36%) e quello riscontrabile nei colleghi (55%) che godrebbero, così, apparentemente, di un immeritato vantaggio ricoprendo ruoli superiori alla propria istruzione. Un dato rafforzato se si effettua un confronto con gli altri Paesi dove i lavoratori, non solo si sentono individualmente svalutati in misura decisamente più contenuta, ma non denunciano di fatto nessuna disparità nel trattamento all’interno del team di lavoro. Altro dato importante che emerge da quest’edizione del Workmonitor Randstad è relativo alla politica attuata dalle aziende per favorire la formazione e le opportunità di carriera: il difficile e prolungato periodo di crisi - nonché la più marcata sproporzione tra domanda ed offerta che caratterizza l’attuale dinamica del lavoro in Italia – non favoriscono certamente gli investimenti. Per questo, fra gli intervistati, l’impresa italiana si contraddistingue per un giudizio significativamente critico dei lavoratori sulle attività che si propongono proprio l’obiettivo del miglioramento della qualità professionale aziendale con punte decisamente più alte rispetto agli altri Paesi: per il 60% del campione, infatti, le aziende non investono in formazione mentre per il 55% non offrono opportunità di carriera.

 
Dalla terza edizione del Randstad Workmonitor, infine, emergono alcuni dati relativi al personale specializzato delle aziende: solo il 33% dei lavoratori italiani, infatti, è convinto  che la propria azienda abbia problemi a reclutare lavoratori specializzati, a differenza della media globale del 48%. Al contempo, però, 4 italiani su dieci, (il 43% del campione) sono convinti che nei prossimi tre anni le stesse aziende dovranno fronteggiare una carenza di personale altamente qualificato.Per quanto riguarda il livello di soddisfazione generale espresso dai lavoratori, in Europa gli italiani fanno registrare un buon 63%, a differenza dei primi due paesi in questa speciale graduatoria come la Danimarca e la Norvegia, che totalizzano rispettivamente l’83% e l’82% e con l’ultimo in graduatoria, l’Ungheria, con il 44%.  
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