lunedì 11 settembre 2017
L’occupabilità dei laureati è superiore rispetto a quella dei diplomati. Il tasso di occupazione di chi consegue master o dottorato è dell'80%
Studiare migliora le prospettive occupazionali
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Negli ultimi anni si è diffusa in Italia la convinzione secondo cui, ai fini dell’ingresso nel mondo del lavoro, “studiare non serve”, e in particolare non serve laurearsi: eppure la nota (Policy Brief 2/2017) pubblicata oggi dall’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche, dimostra il contrario.

Secondo l’analisi condotta su dati Istat e Inapp, a cura di Marco Centra e Andrea Ricci, l’investimento in istruzione migliora infatti le prospettive occupazionali dei giovani (20-34 anni) in ingresso nel mercato del lavoro, e questo è vero a prescindere dall’ambito disciplinare del titolo di studio.

Nel 2016 il tasso di occupazione nella popolazione compresa tra i 20 e i 34 anni è sistematicamente crescente con il livello di istruzione. L’occupabilità dei laureati è superiore rispetto a quella dei diplomati e, al contempo, i tassi di disoccupazione sono più bassi per i giovani in possesso di titolo di laurea o post laurea: questo avviene indipendentemente dal tipo di titolo di laurea, di master o dottorato, quindi anche per i titoli umanistici.

All'interno degli indirizzi di laurea quelli in materie tecnico-scientifiche promuovono maggiori opportunità occupazionali rispetto a quelle garantite da discipline con orientamento professionale o di tipo umanistico. Più nello specifico, tra le materie scientifiche le migliori performance si registrano per le lauree ingegneristiche e in scienze della salute. Ottimi i risultati occupazionali di master e corsi post laurea che aumentano il tasso di impiego di ben dieci punti percentuali, portandolo su livelli superiori all’80%.

L'analisi mostra un importante aspetto di genere. L’investimento in istruzione offre prospettive occupazionali migliori per le donne rispetto a quanto avvenga per gli uomini: questo è vero per ogni livello e tipologia di percorso scolastico preso in esame, a prescindere dagli indirizzi di studio. Ad esempio, se si considerano le donne con laurea magistrale, la probabilità di inserimento lavorativo aumenta (rispetto alla categoria di riferimento dei diplomati di scuola media inferiore) del 44% per l’indirizzo scientifico, del 40% per quello professionale e del 38% per le materie umanistiche; nel caso degli uomini, invece, le corrispondenti stime sono del 28%, del 24% e del 22%, rispettivamente.

«I risultati dell'analisi dell'Inapp suggeriscono che le conoscenze di natura astratta e generalista che si accompagnano ad un elevato investimento in istruzione portano sostanziali vantaggi occupazionali - dice il presidente di Inapp Stefano Sacchi -. Tali conoscenze possono essere ulteriormente valorizzate quando si declinano in competenze di natura tecnica o scientifica». Il risultato relativo alle donne è di particolare importanza: «Se studiare, e in particolare laurearsi, porta vantaggi occupazionali per tutti i giovani, questo è ancora più vero per le donne; per una giovane studiare fa una grande differenza».

In questo contesto è opportuno sottolineare il ruolo determinante delle imprese: il tessuto produttivo italiano è infatti contraddistinto da piccole imprese a basso contenuto di innovazione tecnologica; un contesto che spesso tende ad allocare profili con alto profilo di istruzione verso mansioni lavorative non sempre adeguate. «Bene trovare un lavoro - dichiara Sacchi - ma occorre poi capire se quel lavoro è coerente con il percorso di studi effettuato. Per questo l’Inapp è impegnato in un filone di analisi sulla misura di coerenza tra percorso di studi e lavoro svolto, sia in termini di professione che di inquadramento nel rapporto di lavoro».

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