venerdì 23 febbraio 2018
Si nota maggiore propensione ad assunzioni di personale altamente qualificato, nonché femminile. Inoltre, in tali aziende si nota l’aumento della formazione e dei costi salariali
Stefano Sacchi, presidente dell'Inapp

Stefano Sacchi, presidente dell'Inapp

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Le imprese con almeno un dipendente, guidate da un imprenditore o da un manager laureato, risultano legate a una maggiore propensione ad assunzioni di personale altamente qualificato, nonché femminile. Inoltre, in tali aziende si nota l’aumento della formazione e l’aumento dei costi salariali a cui le imprese sono disposte a far fronte. È quanto rileva uno studio dell’Inapp (l’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche) su Demografia imprenditoriale e tessuto produttivo in Italia.

«Non è solo questione di titoli di studio – spiega Stefano Sacchi, presidente dell’Inapp -. La formazione continua assume un ruolo importante sia per gli imprenditori che per i dipendenti. Soprattutto con le opportunità offerte da Industria 4.0. Un ruolo di rilievo deve essere assunto dagli enti bilaterali e dalle stesse associazioni datoriali come Confindustria».

Nelle analisi descrittive dello studio si rileva come molti aspetti tra il 2010 e il 2014 non cambino, eccetto la struttura per età della forza lavoro. Sembra infatti che si vada verso una diminuzione del personale al di sotto dei 35 anni, a causa di una scarsa propensione ad assumere in tale periodo, dovuta alla congiuntura economica (è del 2015 l’introduzione del contratto a tutele crescenti e degli incentivi alle assunzioni con contratto a tempo indeterminato, che secondo Inapp hanno portato in tale anno a quasi 700mila assunzioni a tempo indeterminato), che altrimenti non si sarebbero verificate.

Anche gli imprenditori/manager più giovani diminuiscono, a favore degli imprenditori più anziani che aumentano tra il 2010 e il 2014. «Bisogna rendere più appetibile la voglia di fare impresa – continua Sacchi -. Va rotto il diaframma tra mondo accademico e mondo dell’impresa. Tanto è stato fatto con gli incubatori, le start up e il fundraising. La stessa cultura d’impresa sta cambiando: si sta capendo che il lavoro viene creato dalle attività imprenditoriali. Tuttavia servono più responsabilità finanziaria e capitali, oltre a politiche che aiutino gli aspiranti imprenditori a realizzare in tempi brevi le proprie idee».

In questo caso gioca un ruolo importante il profilo del proprietario dell’azienda e il possesso di un titolo di studio universitario. L’indagine dell’Inapp è stata condotta nel 2015 e nel 2011 su un campione di circa 30mila società operanti nel settore extra-agricolo. «La presenza di un imprenditore/manager laureato – sottolinea Sacchi – è associata a un incremento dei ricavi pari al 14% e a un incremento dei salari lordi del 12%. Se si vuole è anche una risposta a una convinzione che si è diffusa negli ultimi anni in Italia ossia che studiare non serve».

Secondo un’analisi condotta su dati Istat e Inapp, a cura di Marco Centra e Andrea Ricci, infatti, l’investimento in istruzione migliora le prospettive occupazionali dei giovani (20-34 anni) in ingresso nel mercato del lavoro a prescindere dall’ambito disciplinare del titolo di studio. Nel 2016 il tasso di occupazione nella popolazione compresa tra i 20 e i 34 anni è sistematicamente crescente con il livello di istruzione. L’occupabilità dei laureati è superiore rispetto a quella dei diplomati e, al contempo, i tassi di disoccupazione sono più bassi per i giovani in possesso di titolo di laurea o post laurea: questo avviene indipendentemente dal tipo di titolo di laurea, di master o dottorato, quindi anche per i titoli umanistici. E se l’imprenditore/manager è laureato è ben disposto ad assumere giovani con titoli di studio superiore.


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