lunedì 22 ottobre 2018
Si ha sempre diritto al risarcimento perché l’uso del mezzo è da ritenersi sempre necessitato, equiparato cioè a quello del trasporto pubblico o al percorso fatto a piedi
Infortunio in bici per andare al lavoro
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Chi s’infortuna in bici per andare al lavoro ha sempre diritto al risarcimento dell’Inail. Perché l’uso della bici è da ritenersi sempre necessitato, equiparato cioè a quello del mezzo pubblico o al percorso fatto a piedi. A stabilirlo è una recente sentenza della corte di cassazione, la n. 21516/2018, che decide una lite tra un lavoratore e l’istituto assicuratore (Inail). Il lavoratore ha fatto causa e chiesta la condanna dell’Inail a riconoscergli l’indennizzo per la menomazione dell’8%sofferta in seguito a un infortunio capitatogli nel percorso del tragitto casa-lavoro fatto in bicicletta. Prima il tribunale e poi la corte di appello hanno ritenuto che l’uso della bici, in quanto mezzo privato, non fosse “necessitato” (che è la condizione fondamentale affinché sia possibile il riconoscimento della tutela Inail, in caso di utilizzo di mezzi non pubblici), negando, dunque qualunque tutela. La corte di cassazione ribalta la decisione.

La disciplina dell’infortunio in itinere prevede che l’Inail tuteli i lavoratori nel caso d’infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, nonché nel normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nell’ipotesi caso di rapporti di lavoro plurimi, o durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. Qualsiasi modalità di spostamento è compresa nella tutela (mezzi pubblici, a piedi, ecc.) a patto che siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto fatto con uso di un mezzo privato è coperto dalla tutela dell’Inail solo e soltanto se tale uso risulti “necessitato”. È sempre esclusa la tutela, invece, in “caso d’interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro, o comunque non necessitate”, per tali intendendosi quelle non dovute a cause di forza maggiore, di esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

Tornando alla vicenda giudiziaria la corte di cassazione dà ragione al lavoratore: la corte di appello non ha adeguatamente interpretato la nozione di “utilizzo necessitato”. Tal è, spiega la cassazione, l’uso determinato da ragioni d’impedimento per la percorrenza a piedi del tragitto casa-lavoro e viceversa. Per ragioni d’impedimento devono intendersi non solo le situazioni in cui l’impossibilità è assoluta, ma anche quelle in cui la deambulazione sia motivo di pena e di eccesso di fatica (come nel caso del lavoratore interessato alla causa), oltre che di rischio per l’integrità psicofisica, alla luce dei principi di tutela della dignità della persona (ex art. 2 della carta costituzionale). Peraltro, aggiunge la cassazione, l’uso della bici per fare il tragitto casa-lavoro e viceversa può essere consentito anche «secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, e per tutelare l’esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell’attività svolta». Soprattutto, conclude la cassazione, l’uso della bici deve ormai intendersi sempre necessitato per quanto previsto dalla legge n. 221/2015, vale a dire «per i positivi riflessi ambientali». La bici, in altre parole, è da considerarsi mezzo pubblico e non mezzo privato.



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