giovedì 31 ottobre 2013
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A Londra il prezzo medio delle case in vendita è salito del 10% solo a settem­bre. La crescita – registrata da Rightmo­ve, primo portale immobiliare inglese – è davve­ro incredibile: a questi ritmi le quotazioni im­mobiliari della City raddoppierebbero entro la prossima estate. Ma anche se si guarda il dato del trimestre, meno volatile, si ottiene un dato fe­nomenale: +5,6%. E non parliamo di proprieta­ri avidi che hanno fissato prezzi stellari facendo fuggire gli acquirenti. Tutt’altro: a Londra le ca­se vanno via con il pane. 
Spiega Miles Shipside, direttore del portale: «Alcuni agenti riferiscono che c’è una febbre da acquisto in certe zone del centro di Londra, con una disponibilità di case da comprare così scarsa che spesso loro riman­gono senza niente da vendere». Londra non è l’Italia, dove l’immobiliare è in pes­sima forma, ma non è nemmeno il Regno Uni­to. Nel senso che fuori dalla capitale l’aumento dei prezzi richiesti c’è ma è un più tranquillo +3,8% (in un anno, non in un mese). In alcune regioni come il Galles o West Midlands le quota­zioni sono addirittura in calo, e questo nono­stante il governo, attraverso il programma “Help to Buy”, aiuti i cittadini a comprare casa.
C’è un motivo. Non sono solo gli inglesi a fare shopping del mattone londinese, ma soprattutto gli oli­garchi russi, gli emiri arabi e gli imprenditori ci­nesi. Tutti in cerca dell’appartamento di lusso tra Chelsea e Notting Hill anche come bene rifugio davanti a un futuro incerto in cui una delle po­che certezze è che la City rimarrà la capitale del­la finanza europea. In questo la bolla immobiliare londinese non è troppo diversa da quella che si sta gonfiando altrove. Per esempio a Shanghai, dove i prezzi delle case nuove – ha scritto Bloom­berg – sono saliti del 12% solo in una settimana.
È chiaro che se non vivessimo negli anni dei sol­di facili (per chi può averli), cioè quelli in cui le Banche centrali di Stati Uniti, Europa e Giappo­ne tengono i tassi a zero e riversano ogni mese miliardi sul sistema finanziario, mancherebbe­ro i denari che possono spingere la pazza corsa delle quotazioni. Ed è altrettanto chiaro che, in assenza di altra aria finanziaria capace di gonfiare l’immobiliare, queste bolle rischiano di inter­rompere bruscamente il loro allargamento. Pos­sono anche scoppiare. Sicuramente l’inizio del­le “exit strategy” con cui le banche centrali ri­porteranno la loro politica monetaria a una si­tuazione più normale metterà alla prova molti mercati immobiliari.
Rischia anche la Germania. «I bassi tassi di inte­resse stanno alimentando la domanda per la pro­prietà immobiliare» ha scritto la Bundesbank la settimana scorsa. La Banca centrale tedesca è preoccupata perché «i prezzi delle case nelle città tedesche sono saliti così fortemente dal 2010 che una possibile sopravvalutazione non può esse­re esclusa». Secondo i calcoli dell’istituto cen­trale nelle città della Germania i prezzi delle ca­se sono superiori del 10% rispetto ai valori che sarebbero giustificati da fattori demografici ed economici.
Nei grandi centri come Berlino, Am­burgo o Monaco 'l’esagerazione” delle quota­zioni raggiunge il 20%. Pesa anche in questo ca­so l’investimento che arriva dall’estero, ma è for­te soprattutto la componente locale: i tedeschi, tradizionalmente legati all’affitto, da quando i tassi sono azzerati si trovano molti più soldi a di­sposizione di prima e quindi li investono anche nel mattone.
La formazione di bolle è una delle possibili controindicazioni delle politiche mo­netarie espansive e non può stupire che sia pro­prio la Bundesbank a lanciare l’allarme: se c’è u­na Banca centrale che non si trova a suo agio con le politiche più ardite della Bce di Mario Draghi è sicuramente la vecchia Buba. È un’altra rogna per il banchiere romano.
Le bol­le si formano dove l’economia si riprende: in­fatti mentre il mattone inglese e tedesco si sta rivalutando spaventosamente, quello spa­gnolo resta in agonia (i prezzi medi so­no sotto del 40% rispetto al 2007) e quello italiano è al quarto anno di stallo (il prezzo medio è sceso del 5,9% nel secondo trimestre, terzo peggior risultato nella zona euro). La Bce — che dovrebbe nello stesso tempo favorire con poli­tiche espansive la ri­presa della “periferia” d’Europa e protegge­re con politiche re­strittive la Germa­nia dalla frenesia immobiliare — non può permet­tersi ancora tan­ti anni di Unio­ne monetaria a due velocità.
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