martedì 16 maggio 2017
Per generare redditività i gestori dei piani di risparmio devono essere più abili dei bancari nel valutare il potenziale di crescita delle piccole e medie imprese
Il successo dei Pir, strumenti da maneggiare con cautela
COMMENTA E CONDIVIDI

Ci sono diversi segnali che indicano una forte partenza per i Pir, i piani individuali di risparmio introdotti da gennaio per fare crescere l’economia del Paese facendo affluire il risparmio su strumenti finanziari di aziende italiane, in particolar modo mediopiccole. Il Ministero dell’Economia prevedeva per i Pir un flusso da 16-18 miliardi di euro in cinque anni, ma queste stime potranno essere facilmente superate. Eurizon Capital, del gruppo Intesa Sanpaolo, fornirà in settimana i dati di raccolta, ma a metà marzo, dopo poche settimane dal lancio dei Pir, aveva già raccolto oltre 100 milioni di euro. Banca Mediolanum, in tre mesi, ha raccolto già 700 milioni di euro e prevede entro la fine dell’anno di arrivare a tre miliardi. Secondo gli analisti di Banca Imi il recente avvio dei piani individuali di risparmio ha «ulteriormente supportato il superamento dell’indice Star rispetto all’indice generale italiano». La liquidità delle piccole e medie imprese italiane sta cominciando a beneficiare, con i volumi di trading dell’indice Star più che «raddoppiati a marzo (contro +3,7% per Ftse Mib) e la velocità di fatturato di società è migliorata da un range compreso tra 0,14% e 0,24% del 2016 a 0,32-0,41% del 2017». Nell’ultimo mese il controvalore supera degli scambi giornalieri sulle azioni a medio/ bassa capitalizzazione italiane è salito a 300 milioni dai 150 milioni di euro del 2016.

Un’azienda per avere successo deve essere in grado di generare nuova ricchezza. Il tessuto imprenditoriale italiano, fino all’avvento della globalizzazione, si è basato su piccole e medie imprese che, organizzate in forma di distretti, sono state in grado di prosperare producendo utili e creando nuova occupazione. Con l’avvento della globalizzazione e l’aumento della competizione sui mercati internazionali, il fattore dimensionale, che in passato aveva costituito un punto di forza del tessuto imprenditoriale italiano, è divenuto un fattore critico. Infatti: un’azienda di grandi dimensioni è in grado di essere più competitiva rispetto ad una di piccole dimensioni, perché genera maggiori economie di scala e quindi più risparmi. Inoltre, un’azienda di grandi dimensioni riesce a trovare più facilmente nuove risorse per finanziare i propri investimenti ricorrendo al credito bancario o quotandosi in borsa. In Italia il finanziamento delle piccole e medie imprese è svolto dal credito bancario. Il sistema bancario italiano, pur con delle importanti eccezioni, non si è ancora interamente ripreso dalle conseguenze della crisi economica iniziata con il fallimento di Lehman Brothers ed inasprita con la crisi dei paesi periferici della area euro del 2011.

La questione bancaria, che riempie le cronache finanziarie di questi giorni, è la conseguenza degli interventi non posti in essere in passato. Se il sistema bancario non è in grado di ben funzionare: chi finanzia la crescita delle piccole e medie imprese italiane? In Italia nel 2017, è stata individuata ed adottata una soluzione: i Piani Individuali di Risparmio (Pir). In che modo opera questa via di finanziamento? L’idea è semplice: il legislatore incentiva la creazione di strumenti finanziari, dei Fondi, che consentano di mettere in diretto contatto le esigenze di finanziamento delle piccole e medie imprese italiane ed il risparmio delle famiglie. In altre parole, si cerca di bypassare la necessità per le imprese di finanziarsi solo attraverso il credito bancario. Come funziona in concreto un fondo Pir? Un privato sottoscrive una quota di un fondo che investe le somme raccolte in imprese di piccole e medie dimensioni italiane; a fronte di questo investimento, il sottoscrittore, che mantiene la quota del fondo per almeno 5 anni, non paga le normali tasse sull’eventuale plusvalenza. Ovviamente, se trascorsi almeno cinque anni, il valore della quota dovesse risultare inferiore al prezzo iniziale, il sottoscrittore registrerà una perdita, come per qualsiasi altro fondo. Quindi, diventa cruciale capire in quali condizioni il fondo Pir potrà generare rendimenti positivi. Per rispondere, ipotizziamo l’esempio di un’azienda italiana di piccola o media dimensione, che non sia stata ritenuta meritevole di ottenere credito bancario per finanziare il suo sviluppo produttivo. Ecco, adesso, questa azienda (in via teorica) potrà invece usufruire di risorse fresche fornite dal fondo Pir.

Ovviamente, se l’azienda non ha avuto fino ad oggi accesso al credito bancario, il gestore del fondo Pir, per generare un rendimento positivo a colui che ha sottoscritto le quote del fondo, dovrà essere più abile e competente delle banche nel comprenderne invece il potenziale di crescita (di solito questo lavoro viene svolto dalle società che gestiscono fondi speciali chiamati di private equity). È però ragionevole pensare che se l’investimento prospettato da quella azienda avesse fornito elementi per un sicuro successo, qualche banca l’avrebbe comunque già finanziato. Inoltre, il fondo Pir dovendo investire le somme raccolte in imprese italiane, limita molto la possibilità di diversificare il 'rischio Italia', un’economia che negli ultimi anni è cresciuta in termini di prodotto interno lordo in misura limitata. Per concludere, la finalità dei Pir è teoricamente condivisibile e ben fondata, il vantaggio fiscale per colui che mantiene in portafoglio le quote del fondo per almeno 5 anni, è sicuramente importante, ma come tutti gli strumenti finanziari, quando si sottoscrivono, occorre sempre tenere presente l’esistenza di un rischio.

*Professore associato di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: