mercoledì 30 marzo 2016
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Matteo Renzi ha pronta l’accelerazione del piano per la rete veloce: il 7 aprile, ha scritto il presidente del Consiglio in una nota su Facebook, il governo presenterà «i progetti innovativi per la banda larga». «Che il governo faccia la sua parte è buona notizia, così come lo è il fatto che le aziende abbiano intenzione di investire, ma il problema di realizzare in tempi rapidi la rete a banda larga resta» spiega Alfonso Fuggetta, professore ordinario di informatica al Politecnico di Milano, che è scettico sulla possibilità di dare un’accelerazione alla realizzazione della rete di nuova generazione. Secondo Fuggetta, il primo nodo da sciogliere più che pratico è ideologico: «Nel nostro Paese dovrebbe esserci una maggiore consapevolezza che la banda larga è una necessità, non un lusso». Questo perché la connettività attuale ha dei limiti strutturali che non possono essere facilmente arginati? Senza dubbio. L’adsl spesso viaggia su un rame lungo, vecchio e che non sarà mai in grado di gestire i bisogni di una connettività veloce. Ma il problema è soprattutto una visione collettiva limitata. Cosa intende? Voglio dire che nel nostro Paese non c’è ancora una chiara idea dell’utilità della banda larga. Uno degli errori principali che si commettono quando si parla di connettività è ragionare sulle singole applicazioni o sui singoli utilizzi. E in questo caso l’adsl sarebbe sufficiente? Sì, ma dobbiamo piuttosto iniziare a pensare in termini di 'domanda aggregata', della possibilità di usufruire dei medesimi standard di accesso alla rete anche quando viene usata in contemporanea per scopi diversi. E in questo senso l’adsl da sola non basta, e la banda larga è una necessità. Un tema 'caldo' soprattutto per il mondo delle imprese… È doveroso ricordare sempre che la rete è uno strumento fondamentale per il mondo delle aziende. Oggi quando si parla tanto di telelavoro il vero nodo non è la flessiblità dei sistemi, ma l’affidabilità della rete stessa. Spesso ragioniamo pensando alle grandi metropoli ma l’Italia non è questa. Insomma, come la maggior parte dei cittadini non vive nelle grandi città, lo stesso vale per le aziende. Esatto. Dove sono le Pmi? Spesso proprio fuori dalle città. E le industrie? Dislocate nelle aree dei distretti. E lì com’è oggi la connettività? Difficile fare una mappatura dettagliata, ma di sicuro in molti casi parliamo di cavi in rame troppo lunghi con innegabili problemi di prestazioni. Se il rame è più lungo di 600-700 metri non è possibile navigare in velocità. È lì che dobbiamo iniziare a portare la fibra. Ora il primo bando del governo è proprio rivolto alle aree a fallimento di mercato. Si 'rischia' di partire da lì lasciando indietro le zone strategiche? Sì, potrebbe esserci il rischio di una Italia che viaggia a due velocità: questa volta però a vantaggio delle aree più 'sconnesse'. Il problema è che gli operatori non hanno ancora trovato una quadra e ognuno sta cercando di perseguire la sua strada. Ma la vera questione è se ha senso investire in due infrastrutture parallele. Il risultato sarebbe uno spreco di risorse e una serie di ritardi che non possiamo più permetterci. Intanto si è fatta strada Enel e, al momento, il suo piano sembra il più realistico e attuabile. La proposta di Enel è fattibile. Ma vanno ancora capiti costi, sinergie ed effetti sul mercato. In linea teorica è un piano ragionevole: la società elettrica già gestisce migliaia di cavidotti e infrastrutture, ma resta il fatto che poi gli operatori telefonici dovrebbe trovare un accordo per la gestione della rete. Accordo che al momento è lontano. Sa qual è il vero rischio? Quale? Che si metta giù la fibra anche nelle zone di mercato senza sinergia fra gli operatori e senza ottimizzare risorse e investimenti. Un paradosso. Il piano del governo c’è e l’esecutivo fa quello che può, ma sulle zone di mercato sono gli operatori a mettere i soldi e il governo è spettatore quasi passivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista
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