sabato 25 ottobre 2008
Gli esportatori di oro nero, allrmati per «il drammatico collasso», tentano di risollevare i prezzi. Ma continuano a prevalere le vendite. E la Casa Bianca accusa: la decisione dell'Opec è contro il mercato. Anche in Oriente costituito un fondo anti-crisi.
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Adesso l'Opec si preoccupa di «rimettere in equilibrio il mercato del petrolio». Quando il valore del barile procedeva senza freni fino a sfiorare i 150 dollari il cartello dei produttori parlava di «speculazione», ora che il greggio è in caduta libera l'organizzazione si muove per fermare «il drammatico collasso dei prezzi» e chiede aiuto. Ieri, a Vienna, la riunione straordinaria degli undici ministri dell'energia dei Paesi dell'Opec ha deciso di tagliare la produzione giornaliera di 1,5 milioni di barili. Il tentativo " ampiamente previsto " di arginare la retromarcia del barile ha irritato Europa e Stati Uniti. Una decisione «deludente» ha commentato il premier inglese Gordon Brown, scelte «anti-mercato» commenta George W. Bush dalla Casa Bianca, mentre dalla Germania il ministro dell'Economia Michael Glos si è appellato alla «responsabilità» dei Paesi produttori. La mossa dell'Opec però è andata a vuoto. Almeno nel primo giorno: ieri il greggio, che era già salito in vista del previsto taglio, a New York ha ripreso a scendere. La quotazione del barile ha lasciato il 5%, toccando un minimo di 62 dollari. Solo in una settimana il ribasso è di quasi il 10%, il primato di 147 dollari toccato all'inizio di luglio è ormai un ricordo. La stessa Opec sapeva che le sue possibilità di fermare la discesa erano poche. Intanto perché il cartello, come quasi sempre, anche stavolta era diviso: Iran e Venezuela premevano per tagli più pesanti, l'Arabia Saudita e gli Emirati erano cauti. Proprio i sauditi avevano avviato la discesa del barile quando, all'inizio dell'estate, hanno accettato le richieste degli Stati Uniti aumentando la propria produzione. «Nessuno superi la propria quota» ha chiesto ieri il presidente del cartello, l'algerino Chakib Khelil, e la sola Arabia dovrà accollarsi un taglio da 466 mila barili giornalieri. Al di là delle divisioni interne l'Opec deve anche fare i conti col fatto che controlla meno del 40% delle estrazioni di greggio. Per questo da Vienna Khelil invoca l'aiuto dei Paesi che producono petrolio fuori dall'Opec. «Non ci si attenda che noi ci accolliamo, da soli, il fardello di riportare in equilibrio il prezzo del greggio» dice il ministro algerino rivolgendosi a Russia, Norvegia e Messico. L'appello però cade nel vuoto. Perché, se la discesa del prezzo terrorizza quei membri Opec che hanno già fatto investimenti pesanti in nuovi piani di esplorazione ed estrazione facendo conto di finanziarli vendendo petrolio sopra i 150 dollari, per il resto del mondo il prezzo del barile deve scendere così da non complicare ancora di più la crisi economica. La Norvegia, quinto esportatore mondiale, ha già dato ieri la sua risposta: «Non ridurremo la produzione». La Russia, travolta in maniera drammatica dal collasso finanziario, non ha nessuna intenzione di peggiorare la situazione. «Tra l'altro sono sette anni che il Cremlino promette di aiutare l'Opec riducendo la sua offerta per poi fare l'esatto contrario» commenta un analista di Global Insight. Anche il Messico ha pochi spazi di manovra. Il cartello guidato da Khelil si trova così a dovere lavorare da solo se vuole risollevare il prezzo: è possibile un nuovo taglio, avverte il presidente, anche prima del prossimo vertice, fissato per dicembre.
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