venerdì 1 settembre 2017
La disoccupazione giovanile resta la vera piaga italiana nonché il gap più grande che manteniamo con il resto d’Europa
Il nodo è trasformare la precarietà in cambio di passo
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Che gli italiani al lavoro siano tornati ai livelli del 2008, prima che venissimo travolti dalla 'Grande crisi', favorisce l’ottimismo della volontà: insieme a una crescita più robusta e un clima di fiducia in rialzo, il dato contribuisce alla narrazione del «peggio alle spalle» e può stimolare la ripresa dei consumi sull’accumulazione dei risparmi – le famiglie stanno introiettando in qualche modo che il mercato del lavoro continua ad assorbire – , innescando un circolo virtuoso.

Ma il pessimismo della ragione non deve trascurare la lettura qualitativa dei dati e in particolare due aspetti. Il primo di carattere anagrafico: rispetto al luglio 2016, i dipendenti permanenti sono infatti cresciuti di 92.000 unità, appena dello 0,6%, mentre quelli a termine sono aumentati di 286.000 unità (+11,7%). C’è più lavoro, quindi, ma è precario: nel 2017 sono stati arrivati 3,5 milioni di contratti, con una crescita significativa di quelli a termine a quota 2,3 milioni. La distribuzione dell’aumento degli occupati per classi di età indica poi un contributo rilevante degli over 50, dinamica legata all’aumento dell’età pensionabile, e dei giovanissimi (ancora contratti a tempo stagionali, che hanno sostituito i voucher).

Non riguarda invece la fascia dei 35-49enni, quella, in teoria, dei carichi familiari, dei bambini arrivati o in arrivo o che, in molti casi, anche per la mancanza di una condizione lavorativa stabile, non arrivano affatto. Il pessimismo della ragione suggerisce quindi di guardare anche alla fascia 'core' della società allorché si ragiona di cura choc per il mercato del lavoro nella manovra d’autunno. Ma con una terapia fatta di incentivi e magari 'paletti' a 29 o a 32 anni per le nuove forme di decontribuzione. Certo, la disoccupazione giovanile resta la vera piaga italiana nonché il gap più grande che manteniamo con il resto d’Europa. E però il nostro mercato del lavoro e la nostra crescita hanno bisogno di misure che trasformino la stagionalità della ripresa, nel suo complesso, in un cambio di passo strutturale.

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