venerdì 11 aprile 2014
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Ci sono i numeri. E c’è il sentiment. E in cer­ti momenti, come quello difficile che stia­mo vivendo, il percepito può contare più del reale. L’aspettativa del futuro più dei risultati del passato appena trascorso. Così, di fronte all’enne­simo anno in calo, con un meno 3,2% di fatturato (a 27,5 miliardi) nel 2013, il sistema del legnoarre­do e i 1.700 espositori che s’incontrano fino a do­menica alla Fiera di Rho, a Milano, per il Salone in­ternazionale del mobile e le biennali dedicate alla cucina e al bagno, sono effervescenti. Ed è questo che conta. Qui si sente la prima spinta per quello che il presidente di Cosmit, Claudio Luti, all’apertura della kermesse, ha richiamato come il «nuovo Ri­nascimento ». In fiera ci sono operatori da 160 Pae­si. Da tutti i mercati. Rappresentanti di un mondo che ama la manifattura e il design italiani: con un calo interno (-6%), frenato in extremis da Bonus Mobili ed Ecobonus, le esportazioni crescono del 2,4%, a 12,7 miliardi.

«Il Salone è ormai l’evento mondiale più importante per il design e l’arreda­mento  – ha detto Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo –. Per le aziende è il barometro del mercato e indica il lavoro dei 12 mesi seguenti, anche se siamo ben consapevoli che la crisi conti­nua ad attanagliare il nostro lavoro».  A tirare la volata del nuovo corso ci sono i grandi no­mi del design italiano, da Kartell a Flou, da Calliga­ris a Cattelan. I marchi della moda (Fendi, Versace, Armani, Missoni...) che investono sull’home. Ma anche nomi meno noti, i medi, i piccoli e persino gli artigiani più esclusivi, che rivelano l’autenticità di questo evento e la percezione che qualcosa sta cambiando. Come Clei, azienda brianzola, che da oltre mezzo secolo progetta, produce e commer­cializza nel mondo programmi di arredo trasfor­mabili, capaci di moltiplicare il valore dello spazio. L’esempio più innovativo è la cucina in verticale E­cooking: tutti gli elementi sono mobili e ruotano in­torno a un perno centrale che costituisce anche il tubo di scarico per la lavastoviglie e il lavello. Tutto in meno di un metro quadrato. «Clei è in costante crescita negli ultimi 5 anni – dice il sales manager, Luca Colombo – sia sul mercato nazionale sia su quello internazionale. I nostri prodotti originali ri­spondono alle attuali esigenze di una società in con­tinua evoluzione che fa i conti con spazi ridotti e mutevoli. L’innovazione – aggiunge – rappresenta una regola e un dovere che ci ha portato a ideare prodotti poi brevettati e proposti al merca­to, anticipando i bisogni». Nel Nordest, a Vittorio Veneto, c’è Varaschin, un’azienda che nel 2005 ha saputo reinventarsi. «Nasciamo nel 1969 come in­trecciatori di midollino e rattan per arredamenti esterni – ricor­da la titolare, Giancarla Anto­niazzi –. Un intreccio formato da canne provenienti da luoghi esotici. Poi è arrivata la svolta, c’era più difficoltà a reperire quelle canne ed è cambiato tutto. Abbiamo ricon­vertito l’azienda, ripartendo dall’esperienza di tan­ti anni. Riuscendo a resistere anche all’ultimo pe­riodo di crisi, pensando prodotti che richiamasse­ro la modernità, ma dessero la sensazione del re­cupero. Abbiamo trasformato progressivamente l’intreccio in una geometria di intersezioni, facen­done un tratto stilistico tipico di creazioni moder­ne. All’arredamento outdoor si è aggiunto l’indoor e il contract, con un gruppo di designer di fama in­ternazionale. Così – continua – l’anno scorso siamo cresciuti del 30%. Certo, prima fatturavamo il 70% in Italia ora il 40%. Il 60% arriva da 70 Paesi».  C’è chi interpeta le nuove sfide con un nuovo mar­chio. È quello che avviene in Cantiero, storico mo­biliere di Verona, che da un anno ha lanciato Dale Italia. «Abbiamo ideato una linea più giovane – rac­conta Alessandro Cantiero, 29 anni, con laurea in e­conomia, figlio di Remo, titolare dell’azienda ma­dre – per confrontarci con altre realtà: linee essen­ziali, materiali importanti e un design assoluta­mente moderno. Il classico piace molto in alcune aree del mondo, come la Russia, mentre con que­sto stile più diretto, mantenendo qualità e ricerca­tezza dei materiali, riusciamo a raggiungere Ger­mania, Austria e altri mercati». La stessa voglia di cambiamen­to e di ricambio 'generaziona­le', arriva in una punta di ec­cellenza artigiana, come nel­l’Officina del noto scultore e de­signer bresciano, Giuseppe Ri­vadossi. Da un paio d’anni, con la spinta del figlio, Clemente, è nato il marchio Habito (l’alba, la terra, la mia casa), con cui vei­colare i pezzi unici e artigianali di Rivadossi. «Così ci siamo af­facciati su mercati lontani – di­ce Clemete Rivadossi –. Abbia­mo aperto uno showroom a Shanghai in Cina e u­no a Ho Chi Minh in Vietnam, oltre ad avere avvia­to collaborazioni con molti architetti nel mondo. Puntiamo sempre sul 'personaggio' Giuseppe Ri­vadossi e le sue creazioni, ma con uno spirito nuo­vo, più di azienda, più cosmopolita». Il made in I­taly che parla al mondo. In tutte le forme. Non re­sta che l’ultimo passo: ripartire da noi. Da quel pez­zo d’Italia che non riesce più a spendere. L’Italia de­gli italiani. Non più immobile.

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