mercoledì 5 maggio 2021
Un piano da 735 milioni di euro per formare oltre 140mila laureati con competenze Stem (Scienze, matematica, ingegneria e tecnologia)
La copertina del libro

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In Il reddito di istruzione (Egea Editore, 2021) Pier Giorgio Bianchi e Paolo Alberico Laddomada propongono un piano da 735 milioni di euro per formare oltre 140mila laureati con competenze Stem (Scienze, matematica, ingegneria e tecnologia), profili improntati all’analisi dei dati e professionisti nell’ambito sanitario-paramedico. I fondatori della start up Talents Venture avanzano nel libro come «la strategia per rilanciare il Paese parta dall’Università». Penultima tra i Paesi Ocse (“davanti” al Messico) per percentuale di laureati nella popolazione adulta, l’Italia fatica a migliorare un rapporto storicamente complicato con l’istruzione universitaria. Resta infatti tra i fanalini di coda per investimenti in questo campo (l’1% del Pil, contro l’1,4% della media Ocse) e per offerta di borse di studio. Allo stesso tempo i costi aumentano (negli ultimi cinque anni la contribuzione media degli studenti universitari paganti è aumentata del 26%, passando da 1.418 euro a 1.789 euro), ma non tutte le famiglie comprendono i benefici della formazione: basti pensare che nel 2019 la spesa per bevande alcoliche e tabacchi è stata pari al 2,9 volte a quella in istruzione. Dati che servono solo in parte a spiegare uno dei più importanti problemi del sistema universitario italiano: l’incapacità di produrre un numero consistente di laureati, specie nei settori in cui le imprese ne hanno maggior bisogno. Eppure l’istruzione resta una delle leve più potenti per la crescita del tessuto produttivo e imprenditoriale: gli operatori del mondo economico hanno bisogno di professionalità adeguate a fronteggiare contesti sempre più complessi, e la formazione è la chiave per risolvere questo problema. Rinunciare a investire in questo campo equivale quindi ad affossare le sorti future del nostro Paese.

In quest’ottica la proposta al centro del libro è quella di affrontare il problema facendo ricorso alle potenzialità dell’Income Share Agreement (Isa). Teorizzato dal Premio Nobel Milton Friedman, questo strumento permette agli studenti di pagare l’Università in base al loro reddito futuro. Gli Isa si configurano quindi per essere differenti sia dalle borse di studio sia dai prestiti, incorporando in un unico strumento gli aspetti positivi dell’una e dell’altro: se da un lato, infatti, devono essere rimborsati, risultando così più efficaci nel medio termine per i finanziatori, dall’altro la restituzione da parte degli studenti avverrà solamente se vi è la presenza di un reddito disponibile e in proporzione allo stipendio percepito, evitando così di gravare su di loro qualora non abbiano un lavoro. Secondo gli autori, l’utilizzo degli Isa consentirebbe di impostare un piano per il rilancio dell’istruzione universitaria nel Paese: un programma da circa 735 milioni di euro per formare, nei prossimi cinque anni accademici, oltre 140mila laureati con competenze tecnico-scientifiche. L’importo equivale alla cifra necessaria a sostenere l’avviamento di cinque nuovi cicli di studio in un corso di laurea magistrale e rappresenta lo 0,23% di quanto l’Italia prevede di spendere in interessi sul debito pubblico nel periodo. L’obiettivo è dare vita a un meccanismo virtuoso: con i rimborsi dagli studenti finanziati nei primi cinque anni, infatti, l’iniziativa andrebbe a regime e i proventi dai rimborsi degli studenti supporterebbero i percorsi di istruzione dei loro futuri colleghi. Inoltre, nel caso si volessero coinvolgere operatori privati –dalle aziende agli enti del terzo settore –interessati ad investire in istruzione e sviluppo di capitale umano qualificato, questi potrebbero farlo con un tipo di social bond che permetterebbe all’investitore di ottenere un rendimento proporzionale all’obiettivo sociale raggiunto, ovvero al successo ottenuto dagli studenti nel mercato del lavoro.

«Spesso, in Italia, il tema dell’istruzione universitaria viene trattato con retorica o superficialità, comunque con un approccio che raramente porta a risultati concreti - affermano gli autori -. Con questo libro abbiamo cercato di affrontare le sfide che il settore si trova davanti con un taglio pragmatico e alla portata di tutti, nella speranza di offrire un contributo utile non solo agli studenti italiani e alle loro famiglie ma anche al mondo dell’istruzione, della politica e dell’imprenditoria, convinti che il rilancio del nostro Paese passi necessariamente dalla valorizzazione dei giovani e delle loro competenze».

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