venerdì 7 agosto 2009
A due mesi dal sequestro di titoli per 134,5 miliardi di dollari, i servizi segreti americani confermano: sono contraffatti. Ma non presentano rapporti ufficiali. L'ambasciata Usa esclude un'inchiesta federale, la procura di Como tiene tutto in cassaforte
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Lungo il confine tra Italia e Sviz­zera scorre l’intrigo dell’estate. Non è ancora risolto il mistero dei 134,5 miliardi di dollari in titoli U­sa sequestrati il 4 giugno dalla Guar­dia di finanza a due controversi cit­tadini giapponesi. Da due mesi va a­vanti un gioco di specchi che coin­volge servizi segreti, faccendieri, ban­che centrali e magistrati. Una partita nella quale nessuno parla chiaro e molti tacciono. In prima linea c’è l’United States se­cret service , l’agenzia federale di 007 alle dirette dipendenze della Casa Bianca. Da Washington viene ribadi­to che quelli rinvenuti nel dop­piofondo di una valigia dei due nip­ponici sono «strumenti contraffatti». Quando però chiediamo se gli Stati Uniti sono in grado di produrre un documento ufficiale che certifichi la «non autenticità» dei titoli, dal servi­zio segreto otteniamo una risposta e­vasiva: «Non abbiamo un rapporto che possiamo rendere pubblico», di­chiara ad Avvenire l’agente speciale Darrin Blackford, lasciando intende­re che esisterebbe una relazione top secret. «Comunque posso conferma­re – asserisce il portavoce del Servizio segreto – che i bond a cui fate riferi­mento sono strumenti contraffatti». Il punto è che «non abbiamo mai sen­tito di una nostra commissione inve­stigativa sul tema dei bond», sostie­ne invece una fonte della diplomazia Usa in Italia. Né risulta che sia mai stata trasmessa alle autorità italiane una perizia sull’autenticità della do­cumentazione. Dal ministero del Te­soro non arriva nessuna risposta. Fonti investigative confermano però che la Guardia di finanza e la procu­ra della Repubblica di Como non hanno ricevuto alcuna indicazione ufficiale. Tant’è che l’intero incartamento rimane chiuso sotto chiave in una cassaforte del tribunale coma­sco. Si tratta di 249 bond della Fede­ral Reserve (la Banca centrale ameri­cana), del valore nominale di 500 mi­lioni di dollari ciascuno e dieci titoli denominati «Kennedy note» del va­lore nominale di un miliardo di dol­lari. La documentazione era accom­pagnata da circolari bancarie sulla cui autenticità non è stato espresso al­cun dubbio. In particolare i «Kennedy notes» sarebbero non delle obbliga­zioni di Stato ma vera cartamoneta. Bigliettoni da un miliardo stampati direttamente dal governo Usa e non dalla Reserve. I notes possono essere emessi in forza di un decreto presi­denziale firmato il 4 giugno 1963 da John F. Kennedy, il quale autorizzava l’esecutivo a mettere in circolazione denaro a fronte delle riserve d’argen­to. L’ordine firmato da Jfk non è mai stato abrogato. Tutt’oggi il governo statunitense può stampare denaro in proprio, senza passare dalla banca centrale. Generalmente, spiegano gli esperti di mercati valutari, si tratta di 'banconote' adoperate esclusiva­mente nei rapporti tra Stati, spendi­bili soprattutto in «merci e servizi». Indagando sul conto dei cittadini giapponesi denunciati a Como si sco­prono retroscena poco rassicuranti. Il 55enne Akihiko Yamaguchi è impa­rentato con l’ex vice governatore del­la Banca centrale giapponese Toshi­ro Muto, dimessosi per ragioni per­sonali pochi giorni dopo il sequestro dei titoli. Yamaguchi ha un passato da alto dirigente del ministero delle Finanze di Tokyo, ma alcuni anni fa a­vrebbe subito una condanna a 20 an­ni di prigione per frode. Si trattava dell’affaire «Japanese 57 Series Bond», titoli del valore nominale di 500 mi­liardi di yen, oltre 68 miliardi di euro. Bond autentici, ma emessi senza au­torizzazione. Una operazione com­piuta proprio con il suo complice a Chiasso, il 72enne Mitsuyoshi Wata­nabe. Pur con una pesante condan­na alle spalle i due sono arrivati in I­talia co passaporto giapponese e qui hanno incontrato un importante im­prenditore lombardo, tale A.S., che in passato ha rivestito importanti inca­richi nel Consorzio internazionale trasporti di Roma. L’avvocato dei due giapponesi, Mas­simo Schipilliti, ha lasciato l’incari­co: «Ho avuto contatti solo con un lo­ro delegato – spiega – e mai con i di­retti interessati», che nel frattempo sono tornati a Tokyo. Tallonati da a­genti segreti italiani e statunitensi. Come dire che contraffatti o no, in molti vogliono capire per chi lavora­no i due postini di «strumenti con­traffatti».I precedenti. Il transito illecito di titoli di Stato e valute estere è una delle specialità degli spalloni tra Italia e Svizzera. Talvolta però a commissionare il contrabbando di titoli sono organizzazioni internazionali e talvolta persino “governi pirata”. Un altro caso assai sospetto è del 2 aprile. La Guardia di finanzia del comando provinciale di Sondrio in quella data intercettò a un valico di confine in Valtellina un cittadino di 50 anni, di nazionalità svizzera, che stava importando in Italia circa 100mila Won, moneta in corso nella Corea del Nord. La valuta può circolare liberamente solo all’interno di quel Paese, sottoposto a embargo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dall’Ue. La somma di denaro, per un controvalore stimato in circa 50 mila euro, ai controlli condotti con il supporto tecnico della Banca d’Italia e dei funzionari doganali, non risulta contraffatta e in parte è stata sottoposta a sequestro. Lo svizzero, che si è rifiutato di dare spiegazioni sul possesso della valuta coreana e sulla sua destinazione, è stato denunciato in stato di libertà alla procura di Sondrio. Alcune settimane prima, il 17 marzo, la guardia di finanza di Ponte Chiasso sequestrò al valico italo-svizzero di Brogeda dieci bond, titoli obbligazionari statunitensi, per un controvalore complessivo di cento milioni di dollari, pari a circa 77 milioni di euro. Le obbligazioni (autentiche) erano nascoste nel bagaglio di un consulente finanziario svizzero di 52 anni che, a bordo di un’auto, cercava di entrare in territorio italiano.
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