domenica 29 luglio 2018
Le salde e misconosciute radici materne del manager italo-canadese
Il Dna istriano di Sergio lo schivo
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Sergio Marchionne combatteva ancora la sua ultima battaglia e già i giornali ne parlavano al passato, affannandosi a cercare nel suo vissuto le ragioni di un successo caparbio e straordinario, geniale e schivo. Le hanno cercate nelle tre lauree brillantemente prese in Filosofia, Economia e Giurisprudenza, nel suo essere un italiano sbarcato a 14 anni in Canada al seguito della famiglia in cerca di fortuna, o magari nello spirito retto ereditato da un padre Carabiniere e per di più abruzzese.

Ma in fondo a rivelarci il suo segreto in parole semplici era stato lo stesso Marchionne nel febbraio di sei anni fa, quando senza preavviso si era presentato a Torino davanti alla lapide dedicata alle Foibe e all’Esodo dei 350mila italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, mentre si celebrava il Giorno del Ricordo, e agli esuli increduli nel vedere tra loro uno degli uomini più potenti al mondo spiegò umilmente: «Vi porto il saluto di mia mamma Maria, esule da Pola in Canada». Svelava così le sue origini istriane e la grande tragedia che aveva forgiato il suo carattere: la madre, Maria Zuccon, era di Carnizza (Pola), il paese in cui suo padre Concezio, Carabiniere abruzzese, era stato trasferito a dirigere la stazione locale. Maria e Concezio, futuri genitori di Marchionne, si erano innamorati nell’emporio di nonno Giacomo, ma la pulizia etnica era ormai all’orizzonte e il 5 ottobre 1943 Giacomo fu rapito dai partigiani comunisti di Tito e gettato nella Foiba di Terli assieme a decine di altri civili innocenti.

«I partigiani rastrellavano i 'nemici del popolo' e mio nonno fu catturato e fatto sparire insieme ad altre persone per bene del paese. Anche mio zio Giuseppe, che partì alla ricerca del padre, non fece mai ritorno a casa», raccontò poi Marchionne in una commossa intervista a 'La Voce del Popolo', il quotidiano degli italiani rimasti in Istria e a Fiume. Quanto a sua mamma, «in lei ho sempre visto una donna estremamente forte e sensibile, due elementi che possono convivere solo in chi è stato messo duramente alla prova dalla vita». Eccolo il Dna istriano, la «terribile esperienza» che ha marchiato per sempre il suo modo di essere: «È importante non dimenticare quella tragedia, nata da una cultura dell’odio che non trova ragioni se non nella follia disse un Marchionne eccezionalmente intimo -. Quei ricordi, il dolore che ne è collegato e la voglia di reagire, rendono ancora più forte la necessità di fondare ogni nostra scelta e ogni nostra azione su ciò che abbiamo di più prezioso, quei valori che non conoscono confini: la giustizia, l’onestà, il rispetto per gli altri. Questi sono i valori che mia madre mi ha trasmesso».

E ancora: «Gli istriani hanno perso la propria terra, ma non lo spirito d’intraprendenza», un valore per lui imprescindibile «per dare al passato anche un futuro». Nonno Giacomo era amato dai compaesani, cui dava a credito ciò che non potevano comprare. Quando fu assassinato aveva 46 anni, e se non fosse che il suo corpo fu tra i pochi recuperati dai Vigili del fuoco del maresciallo Harzarich, oggi sarebbe tra le migliaia di desaparecidos italiani senza tomba e senza nome. Quanto al figlio, lo zio di Marchionne, forse fu eliminato dai titini, forse invece fu fucilato dai tedeschi (questo accadeva agli italiani dopo l’Armistizio, presi tra due fuochi ugualmente feroci). Maria e Concezio fuggirono in Abruzzo, dove poco dopo, nel 1952, nascerà Sergio Marchionne, il resto delle famiglia si imbarcò sulla nave 'Toscana', che faceva pietosa spola tra l’Istria e le coste dell’Adriatico occidentale, imbarcando di qua e sbarcando di là folle di disperati improvvisamente nullatenenti.

La diaspora durò tutta la vita per i nostri giuliano-dalmati, che si dispersero nel mondo intero portando laboriosità, genio italiano, voglia di rinascere. Gente che seppe ricominciare da zero, trasmettendo ai figli la stessa forza, coriacea come la pietra d’Istria, appassionata come la sua terra rossa. Fu 'Difesa Adriatica', testata dei giuliano-dalmati, a scoprire per prima nel 2007 il passato di un Marchionne figlio di esuli e nipote di infoibati, intervistando la madre Maria ormai in Canada da 41 anni: «L’accento meridionale rivelava ancora la lunga permanenza in Abruzzo - ci racconta oggi la giornalista Rosanna Turcinovich - ma bastò dirle due parole in dialetto istriano e rimasi sbalordita, prese anche lei a parlarmi senza alcuna inflessione in perfetto dialetto». Le raccontò della medaglia alla Memoria concessa dallo Stato italiano ai parenti degli infoibati, ma mai richiesta dai Marchionne perché «è troppo doloroso ricordare», della nascita di Sergio e Luciana a Chieti, e di quante volte li portava a Pola per vedere, per sapere, per non scordare.

Anche Sergio Marchionne ha fatto lo stesso con i suoi due figli, condotti davanti alla casa materna. Sarebbe stato giusto nelle tante biografie passate in tivù e sui giornali sentire tutto questo. Per paradosso due quotidiani in questi giorni lo hanno definito «un abruzzese croato», qualcun altro ha scritto che i soldati di Tito andarono «a caccia di fascisti e anche Giacomo finì ucciso in foiba». In realtà il nonno di Marchionne non vestì mai la camicia nera, e nella Foiba di Terli tra i 26 corpi identificati si trovavano diversi antifascisti, incluso Antonio Del Bianco, il capo partigiano di Carnizza... «Tornerò di nuovo, se non sarò all’estero per lavoro», aveva promesso Marchionne nel Giorno del Ricordo. Nel 2012 ci recammo proprio alla Foiba di Terli e lo invitammo, ma Marchionne lo schivo ci seguì da lontano.

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