giovedì 18 maggio 2017
Crisi degli spread e calo della fiducia hanno pesato sulle nascite quanto la mancanza di lavoro. E la disoccupazione femminile ha inciso più di quella maschile. La ricerca di Chiara Comolli
La manifestazione dei passeggini vuoti al Colosseo

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Il calo della natalità? Colpa anche dello spread. O meglio: non è stata solo la disoccupazione dovuta alla crisi a far nascere meno bambini, il tasso di fecondità in questi anni è crollato anche per la crisi del debito e l’incertezza della politica economica, questioni cioè capaci di trasmettere insicurezza e logorare la fiducia nel futuro. A metterlo in luce per la prima volta è uno studio sugli effetti della Grande Recessione in Europa e negli Stati Uniti condotto da Chiara Ludovica Comolli, ricercatrice italiana presso l’unità di Demografia del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Stoccolma.

«La crisi ha avuto un impatto negativo notevole sulle dinamiche familiari e in particolare sulla natalità in tutti i Paesi colpiti dalla Grande Recessione – spiega Comolli ad "Avvenire" –. Tra il 2008 e il 2013 su 32 Paesi analizzati tra Europa e Stati Uniti, 22 hanno registrato un sensibile calo delle nascite. A reggere meglio sono stati i Paesi dell’Europa Continentale come Germania, Francia e Austria, mentre i cali più sostanziali si sono visti nel Sud Europa, oltre che in alcuni Paesi del Nord, Islanda e Finlandia, e negli Stati Uniti. In tutti i Paesi la crisi ha bloccato il trend positivo di inizio secolo, riportandoci indietro di parecchi anni.

In che modo la crisi ha impattato sulla natalità?

L’insicurezza nel mercato del lavoro è il fattore principale per la scelta di rimandare la nascita di un figlio. Soprattutto nei Paesi come gli Usa e il Sud Europa, pensiamo all’Italia, dove le politiche familiari sono deboli e le coppie sempre più dipendenti dal lavoro e dal salario di entrambi i partner. La disoccupazione femminile, in particolare, sembra avere influito sulla decisione di avere figli in modo anche più negativo rispetto a quella maschile. Ma rispetto alle precedenti recessioni del XX secolo questa crisi è stata caratterizzata in modo decisamente superiore da un grado di incertezza legata ad altri fattori.

Di cosa si è trattato in particolare?

Un esempio fra tutti è la crisi del debito sovrano nei Paesi del Sud Europa, che ha prospettato la possibilità del fallimento di stati interi e messo a rischio la tenuta dell’Unione Europea. La parola "spread" ha dominato i titoli di giornali e telegiornali, le persone hanno visto in quel differenziale il termometro della crisi, e l’incertezza delle politiche fiscali ed economiche si è tradotta in ulteriore insicurezza per le famiglie, che hanno rimandato ogni investimento e ogni scelta di lungo periodo, come quella di avere figli. Lo stesso impatto negativo sui tassi di natalità lo troviamo quando guardiamo alla fiducia dei consumatori e agli indici di incertezza della politica economica. Il risultato interessante è che questi indici mostrano di avere un impatto sulle scelte familiari paragonabile a quello della disoccupazione, che fino ad ora è stato considerato il maggiore determinante macroeconomico della natalità.

La natalità dunque non risente solo delle difficoltà del momento, ma subisce anche il peso dell’insicurezza sul futuro, di una politica che non guarda lontano?

Esattamente. Avere figli e formare una famiglia va considerato un po’ come un investimento, e se la stabilità futura è incerta si tendono a rimandare le scelte importanti. Durante la crisi questo è avvenuto nella maggior parte dei Paesi occidentali. Oggi però in alcuni Paesi come la Spagna, lentamente la crescita economica e ancor più lentamente la natalità, stanno risalendo. I giovani Italiani, invece, si trovano non solo in una condizione lavorativa precaria e senza prospettive di miglioramento nel breve periodo, ma soffrono la mancanza di prospettive reali di crescita del Paese, la mancanza di riforme strutturali che migliorino le condizioni del mercato del lavoro e delle politiche di riconciliazione lavoro-famiglia.

Quanto incide sulla natalità il fatto che l’Italia abbia un debito elevato?

Nell’influenzare le scelte familiari la sostenibilità del debito Italiano non è un argomento così tecnico come si possa pensare. La crisi ha portato l’argomento su tutte le pagine dei giornali, il termine "default" nel 2011 si trovava al quinto posto delle ricerche su Google, e l’anno dopo al quarto posto c’era la parola "spread". La debolezza della credibilità sui mercati finanziari dell’Italia rientra in un quadro macroeconomico e finanziario negativo del Paese che influenza negativamente gli investimenti, compresi quelli familiari e la natalità.

Che interventi servirebbero?

L’incertezza si riduce con politiche economiche strutturali di lungo periodo, dirette alla crescita economica ma anche che incentivino comportamenti virtuosi. Penso alla necessità di facilitare l’occupazione di donne e giovani, entrambi cruciali per riportare in crescita la natalità. Il divario generazionale tra insider e outsider nel mercato del lavoro non smette di crescere e i giovani in Italia sono le vere vittime di questa crisi; mentre il tasso di occupazione femminile è ancora molto al di sotto della media europea e il gap con l’occupazione maschile è tra i più alti d’Europa. Le misure una tantum non favoriscono né la natalità né l’occupazione femminile e giovanile.


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