venerdì 1 dicembre 2017
Provengono da 45 Paesi diversi. Il 45% svolge mansioni esecutive, mentre i dirigenti sono l’8%. L’80% delle imprese non ha programmi di gestione delle differenze
Il 71% delle aziende italiane ha dipendenti stranieri
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La presenza di dipendenti nelle aziende italiane appartenenti a diverse etnie e di nazionalità straniera è ormai un dato assodato e diffuso: sono oltre il 71%, secondo la ricerca appena realizzata da Aidp, la principale associazione dei direttori del personale in Italia. Le nazionalità più presenti sono la Romania (30%), l’Albania (26%), il Marocco (24%), la Polonia (15%), la Cina (11%), su 45 Paesi di provenienza censiti. Il 48% svolge mansioni esecutive, il 25% impiegatizie, l’11% sono tecnici altamente specializzati, il 10% quadri e l’8% sono dirigenti. La maggior parte dei dipendenti è di religione cristiana, il 97%, mentre il 22% professa l’islam, l’11% il buddismo, il 6% sono testimoni di Geova, il 4% l’induismo e il 4% l’ebraismo, seguono con l’1% ciascuno il taoismo e lo scintoismo. A questa domanda i direttori del personale hanno dato una risposta multipla.

Questo il quadro generale fatto dall’Aidp la principale associazione dei direttori del personale in Italia - attraverso una ricerca tra i direttori del personale sullo stato dell’arte per ciò riguarda la gestione e valorizzazione delle differenza culturali, etniche, e religiose nelle aziende di qualsiasi settore e dimensione, in termini di differenze, criticità, iniziative e politiche presenti.

«Nel contesto italiano è ancora presente una visione parziale in merito alle differenze culturali, etniche e religiose – spiega Isabella Covili Faggioli, presidente di Aidp -. Il fatto che la differenza sia poco riconosciuta, o non volontariamente ricercata, non significa che essa non sia presente, che non debba essere gestita o che non possa rappresentare una risorsa per l’organizzazione. La diversità è un valore di cui ogni organizzazione ha bisogno e di cui occorre prendersi cura in modo che tutte le persone possano esprimere al massimo le loro competenze permettendo all'azienda di vincere le sfide e le competizioni che l'aspettano».

L’80% delle aziende non ha in essere politiche specifiche di gestione delle differenze culturali, religiose ed etniche. Per il 61% delle aziende che hanno risposto di non avere politiche specifiche la ragione è nella mancanza di problemi a riguardo, per l’8% perché non ci sono risorse e per un altro 6% perché ci sono altre priorità.

Le maggiori difficoltà riguardano quelle linguistiche (55%), l’incomprensione tra i colleghi (65%), il differente significato del concetto di lavoro(49%), le esigenze alimentari (47%). Per contro, la pausa per la preghiera (84%) oppure generiche discriminazioni (70%) non sono considerati aspetti critici. In generale, tuttavia, prevale una logica di omogeneizzazione nelle aziende in cui la gestione delle differenze non è ancora adeguatamente utilizzata anche in chiave di sviluppo del business rispetto all’accesso a nuove mercati esteri per esempio.

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